Dolce & Gabbana d’Oriente
Il rosa ciliegio in fiore in tutte le sfumature. E l’obi diventa di metallo
anno strappato loro anche un lungo applauso. Di fronte al un omaggio così rispettoso della loro cultura ed educazione e storia anche i formalissimi giapponesi hanno capitolato. “I” Dolce e Gabbana in quel di Tokyo hanno cominciato a raccontare la loro storia fatta di passione mediterranea a tinte ciliegio in fiore senza sbagliare senza un passaggio. La conquista di un mercato non è impresa facile, specie di questi tempi. Ma il nuovo corso dei due ha gli strumenti giusti per riuscirci. Non è così scontato il lavoro che stanno facendo. Apparentemente forse. In realtà nasce dalla consapevolezza di un ritorno a quelle che erano le origini di una certa moda e dell’alta moda in particolare. Quella dell’unicità e del sogno. Oltreché naturalmente la qualità. Con un (epocale) cambiamento di rendere itinerante la sacralità dell’atelier e di poterlo portare ovunque con tutti i suoi riti che siano l’esclusività, il fatto a mano o la riservatezza.
La scommessa questa volta è stata poi ancor più azzardata: traslare tutto in una società che ha fatto di regole e ritualità la sua forza (difficile dunque “competere”) e sulla quale l’haute couture non aveva ancora puntato alcun spillo e forse non a caso. In più con una visione della femminilità e della mascolinità molto diversa da quella occidentale e ancor di più dall’esuberanza delle donne e degli uomini very Dolce e Gabbana. In fatto di forme, metaforicamente e non. «Gli abiti sono arrivati qui - raccontavano gli stilisti cuciti a mano ad uno ad uno sui nostri manichini. Non avevamo pronto un piano B, ma certo è che le donne giapponesi hanno altri corpi, sono più sottili e piccole, e in poco tempo qui abbiamo compiuto il miracolo di adattarli alle loro forme. Ma questo è stato quasi il lavoro più facile. Ecco forse alla fine di questo nostro progetto itinerante potremo dire di sapere tutto sulle forme delle donne, ma veramente. La loro sensualità? Diversa, anche quella». Apparenza e sostanza: «Poi ci siamo accorti che è una società che non gradisce che uomini e donne si mescolini. Banalmente lo abbiamo capito scattando le foto ricordo nei nostri uffici. Automaticamente prima hanno posato con noi le ragazze, e poi i ragazzi. Così ci siamo detti: “rispettiamo le loro regole”, ed è nata la sfilata divisa, prima l’alta sartoria e poi l’alta moda. Ben attenti che nessuno sfiori l’altro. Rispetto, ecco come pensiamo sia giusto entrare ovunque. Sono finiti i tempi delle imposizioni. Ci piace pensare a sorta di diplomazia culturale. E per chiudere il cerchio abbiamo voluto che a sfilare fossero solo ragazzi e ragazze giapponesi».
E il lavoro di lettura della loro moda a caratteri kanji è veramente un bel racconto creato in sei mesi negli atelier milanesi: domina il colore rosa che è quello dei ciliegi in fiore, ma anche delle adolescenza spensierata, in tutte le sfumature possibili, per abiti da cocktail o da sera e completi. E cascate di petali ovunque sul tulle candido. I ricami “anarchici” (quelli che sovrappongono più tecnici) che sono diventati una firma dei Dolce e Gabbana: pizzi, macramè e punti animano i corpetti stretti ora da cinte che sono nastri da pacco ora da obi di metallo. Gli uomini forti e dolci tanto quanto. Sia negli smoking più preziosi sia nelle vestaglie più suntuose sia nei suits più sartoriali. H