Stampe con il gallo e forme barocche: ecco la «disruption»
Se a Tokyo a fiorire sugli abiti erano stati i fiori di ciliegio, a Pechino sono le stampe con il gallo - in Cina è il suo anno -, le piume a migliaia nella lunga gonna variopinta che trasforma l’esilissima modella orientale in un uccello del paradiso mentre scende la scalinata dell’hotel Peninsula come in volo, i colori a contrasto, i pizzi con le incastonature ripresi dall’antica tradizione cinese, i fregi dorati che riproducono decorazioni della Città Proibita, le stampe geometriche della Cina anni Trenta sui completi pigiama da uomo. Mancano solo le uniformi della Rivoluzione culturale, magari riviste nella chiave sensuale/ barocca che connota da sempre lo stile Dolce e Gabbana, ma è una dimenticanza voluta, «le giacche di Mao le vedi addosso ai funzionari che non vogliono e non possono essere trendy - approva la Millennial cinese che mi è seduta accanto mentre osserviamo le cento uscite della sfilata di alta moda e alta sartoria - non ai nuovi signori del business o ai ragazzi della mia generazione. Sono cose vecchie, dei nonni», e liquida con un gesto metà dell’immaginario iconografico occidentale legato alla storia del Paese che è sempre in marcia.
Si potrebbe definire disruption - termine oggi molto in voga per descrivere un modo di agire fuori dagli schemi, che rovescia le convenzioni e consente un altro punto di osservazione, didascalicamente significa rottura - la strategia adottata dal duo di stilisti per affrontare i mutamenti del mercato del lusso: una nuova forma di contaminazione che declina i segni iconici di uno stile - la sartorialità, il barocchismo, una certa costruzione