La prima storia
raggiunto abilità che nessuno avrebbe pronosticato: io oggi sono una persona serena, che si è accettata e si è fatta accettare dagli altri.
Per questo, a un certo punto, è diventato impossibile non riflettere sui tanti luoghi comuni in cui viene spinta e soffocata la femminilità della donna disabile. Considerata — più o meno da tutti — un’asessuata, una malata, contenta se sopravvive, chiamata a non chiedere troppo, a non perdere tempo interrogandosi sui propri desideri. È chiaro: non una vera donna. Ho letto molto su questa cosa, libri e studi provenienti da diverse parti del mondo, per un verso stupendomi e per un altro capendo benissimo le difficoltà di molte ragazze affette da disabilità quando cercano un rapporto sentimentale e sessuale. Personalmente, ammetto, non ho mai vissuto questo passaggio, questa parte della mia esistenza, come un dramma. Ho avuto i miei problemi, ho sofferto, ho avuto paura, ho pianto di delusione e di rabbia. Ma ditemi, voi «normali», non vi è mai capitato di essere stati traditi o abbandonati o anche solo non corrisposti in amore?
A 18 anni ho avuto la mia prima storia con un ragazzo. Era un giovane svizzero, conosciuto in un centro di riabilitazione, con il quale i primi tempi sono stata molto bene perché non dovevo sforzarmi di apparire il più possibile «normale». Lui aveva difficoltà motorie, io affrontavo le mie, motorie e di linguaggio. Con il passare dei mesi, però, mi sono accorta che io non ne ero innamorata: forse la stavo vivendo soprattutto come una prova, un’esplorazione. Con la consapevolezza che ho oggi, penso di aver voluto fare quell’esperienza perché sentivo tutte le amiche raccontare le loro avventure, piccole e grandi. Non volevo sentirmi esclusa da loro. E dall’amore.
Sono trascorsi poi molti anni durante i quali mi sono concentrata su me stessa, alle prese con gli esami universitari e con la riabilitazione: un periodo difficile, lungo, ma che mi ha regalato l’autonomia. Un premio gigantesco e nello stesso tempo tremendo. Sono andata a vivere da sola; il distacco dalla mia famiglia, in particolare da mia mamma, è stato durissimo. Dai 20 ai 30 anni, probabilmente la stagione più bella per l’amore, io non ho avuto né il tempo né la predisposizione per la vita sentimentale. Tra i 20 e i 30 anni mi sono concentrata sugli esami universitari e la riabilitazione. Forse era quella la stagione più bella per l’amore