L’analisi di Andrea Carandini su arte e paesaggio (Laterza) L’esperienza della bellezza Ecco la nostra identità
Francesco Prosperetti, Mirella Serlorenzi. Modera Giuseppe Laterza
Gli ultimi due libri usciti dell’archeologo Andrea Carandini sono stati di opposta direzione: Angoli di Roma è un’inconsueta guida alla città antica (Laterza, 2016), mentre la rinnovata edizione inglese dell’Atlante di Roma antica (Princeton University Press) è una delle più alte produzioni scientifiche dello studioso. Il nuovo saggio La forza del contesto (Laterza) è di taglio ancora diverso: un saggio sul patrimonio culturale con esemplificazioni legate alla recente storia italiana. Una bella vivacità, un bel modo di mettersi in gioco e un bell’esempio quelli di Carandini, che potrebbe tranquillamente vivere sulla fama acquisita.
Nel nuovo libro, che ha per tema l’importanza del contesto nella valutazione, salvaguardia e valorizzazione dell’arte e del paesaggio, l’antichista muove da prospettive filosofiche rivalutando persino il Nietzsche di Umano troppo umano, quello dell’arte come esperienza «che salva». Ma salva, scrive Carandini, solo nel rispetto dei contesti che «possono essere piccoli come uno strato archeologico, medi come l’arredo di una stanza, grandi come un monumento o grandissimi come un paesaggio»: l’importante è che vengano preservati. I contesti, infatti, conferiscono importanza a un’opera e non sono solo le cornici o gli ambienti nei quali l’opera è collocata, ma sono il complesso di elementi storico-sociali che ne consentono la comprensione.
La prima parte del libro riguarda l’etica della convinzione; la seconda l’etica della responsabilità, ovvero l’assunzione dell’impegno per la difesa della bellezza così come suggerito sin dal testo di William Morris Prospects of Architecture in Civilization (1881), in cui si affermava che tutti hanno la responsabilità «di partecipare alla bellezza del mondo».
Nella prima parte Carandini analizza princìpi e storia della valorizzazione dei contesti culturali, anche in seno all’amministrazione dello Stato, con l’obiettivo di suggerire un progressivo passaggio dalla musealizzazione alla difesa dei contesti. Un monumento, scrive sulla scia di Gadamer, è qualcosa che «sempre si muove, seppure lentamente,… somiglia a un grande animale, a un mostro antidiluviano, duraturo ma non immoto». Il monumento e le opere sono goethiani organismi in metamorfosi che reclamano il superamento dell’idea illuministica di museo come sede di oggetti decontestualizzati (e oggi schiacciati dall’invadenza tecnologica) in favore di un approccio globale che risponda alle esigenze di una società aperta, attenta al territorio della memoria. L’attenzione Mirko Zilahy (Roma, 1974) ospite a Tempo di Libri