Corriere della Sera

IL LABORATORI­O DELLE DONNE

L’appuntamen­to I fondi che verranno assegnati per il 2017 a 194 medici e studiosi vedono una presenza femminile schiaccian­te. «Abbiamo un’abnegazion­e che ci spinge ad andare avanti anche se non vediamo subito il risultato» L’AVANZATA CONTINUA DELLE SCIENZ

- di Caterina Ruggi d’Aragona

Una nonna ammalata di tumore, scoperto tardi negli anni ‘90. E il desiderio di scoprire le cure possibili, per dare ad altri la possibilit­à di guarire. Inizia da lì il percorso di Laura Raccosta, laurea in biologia molecolare all’università di Milano, dottorato alla Bicocca, ora ricercatri­ce all’istituto San Raffaele del Monte Tabor, dove studia le cause che spingono il sistema immunitari­o a smettere di bloccare le cellule tumorali. È una delle 147 ricercatri­ci finanziate quest’anno dalla Fondazione Umberto Veronesi: 147 donne sui 194 medici e ricercator­i premiati. Non è un caso. «La ricerca è donna perché richiede sacrificio ed entusiasmo, caratteris­tiche femminili come quell’abnegazion­e che ci spinge ad andare avanti anche se non vediamo subito il risultato», commenta Francesca Bianchi che, dopo la laurea e il dottorato in biotecnolo­gie, lavora all’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori a Milano su una nuova terapia contro il cancro ai polmoni, da somministr­are via aerosol.

Sacrifici, precarietà a lungo termine, dedizione, forte impatto emotivo: tante le difficoltà. Cosa spinge una donna a scegliere la strada della ricerca? La risposta di Francesca sembra spiazzante: «Io non sono di quelle folgorate. Mi dicevano “Sei brava, studia”. Mi piacevano le materie scientific­he. Dopo la laurea e il dottorato ho pensato “Se voglio fare ricerca devo farla al massimo, in oncologia”. Mi sono data un anno di tempo. Ma non ho mai pensato alla scadenza di quell’anno. Sono andata avanti». Passione, curiosità e desiderio di conoscenza: sono queste le parole chiave nella vita di un ricercator­e secondo Chiara Tonelli, presidente del Comitato Scientific­o della Fondazione Umberto Veronesi, prorettore alla ricerca e professore di genetica all’Università degli Studi di Milano. Che spiega: «Devi essere curioso, perché devi sbilanciar­ti in un’avventura rischiosa: fare un’ipotesi da verificare, che può anche deluderti. La ricerca è piena di insuccessi, altrimenti avremmo risolto tutti i problemi del mondo. Solo una grande passione e un forte desiderio di conoscenza riescono a farti superare i momenti bui. In questo non fa differenza essere donne o uomini».

«Se guardo le performanc­e universita­rie e anche i 680 progetti presentati per i Grant 2017 — aggiunge Chiara Tonelli — dico però che le donne nella ricerca sono di più e sono più brave. I dati mostrano che si laureano meglio, sono in netta maggioranz­a tra i dottori di ricerca, un po’ meno tra gli associati, molto meno tra gli ordinari, soprattutt­o in medicina. Mi aspetto che la situazione sia diversa tra 10/15 anni, anche perché noi donne abbiamo dimostrato che la maternità non è un ostacolo: si possonui»,

no fare figli e lavorare». Laura ha un bambino di due anni e mezzo. «Nel 2015 ho bloccato la mia borsa di studio per sei mesi; sono rientrata — racconta — quando mio figlio aveva quattro mesi. Santi nonni! Se devo lavorare nel weekend viene anche lui con il papà, e si diverte allo zoo del San Raffaele». «È difficile, ed è sempre questione di compromess­i: io

ho impiegato un anno in più per il dottorato, nel frattempo è nata la mia prima figlia. Poi sono stata fortunata e ho sempre avuto accanto un marito meraviglio­so che sa quanto sia importante il mio lavoro. Hai sempre la sensazione di dover rinunciare a qualcosa: un momento fai la mamma, un altro ti dedichi appieno alla tua ricerca. Sono equilibri conti- dice Francesca, che ha due bambine, di 7 e 3 anni e mezzo. Mamma, di un bimbo di due anni e mezzo, anche Nicoletta Tomasi Cont, medico, ginecologa e ricercatri­ce alla Fondazione del Piemonte per l’Oncologia di Candiolo. «Porto mio figlio al nido alle 7.30 e lo riprendo alle 18. Se non faccio in tempo ci sono i nonni. Noi lo coccoliamo la sera e nel weekend, che è sacro», dice. Nicoletta sta studiando la possibilit­à di irradiare solo parte del torace dopo la mastectomi­a totale nelle pazienti operate di cancro alla mammella. «La mia fortuna è essere medico e ricercatri­ce: la sofferenza delle mie pazienti mi dà la motivazion­e ad andare avanti nella ricerca». E il coinvolgim­ento emotivo tipicament­e femminile? Fortifica la determinaz­ione, spinge a superare le delusioni. «E poi — aggiunge la professore­ssa Tonelli — l’empatia aiuta a creare un buon gruppo di lavoro. Perché non è vero che le donne non sanno fare squadra. I laboratori dimostrano il contrario».

Ma sono ancora poche tra gli ordinari, soprattutt­o in medicina. Mi aspetto che la situazione cambi entro dieci anni Chiara Tonelli, presidente del Comitato scientific­o Fondazione Veronesi

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Concentraz­ione I dati dimostrano che le donne si laureano con voti migliori e sono in netta maggioranz­a tra i dottori di ricerca
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