Qui Pechino
sensuale delle forme, molto italiana - dentro un quadro estetico fusion che accoglie, valorizza e metabolizza via via elementi altri dalla nostra tradizione. Il risultato è molto contemporaneo perché non perde di personalità e riconoscibilità. «Ci teniamo molto alla larga dal costume e dal folklore - dicono Domenico Dolce e Stefano Gabbana -, questa collezione è un omaggio alla Cina, un segnale di attenzione, ma i nostri clienti non vogliono che gli ricordiamo la loro storia e le loro tradizioni: loro vogliono noi». E in quel “noi” c’è l’intero armamentario di manualità, irriverenza, sensualità sfacciata o solo evocata, con echi arcaici, su cui è fondato lo stile Dolce e Gabbana. La Cina poi, mercato immenso e strategico, non è solo la Cina: sono i cinesi di Boston, Los Angeles e Milano, sono le nuove generazioni cresciute nei college di Londra e di New York. Se a tutto questo si aggiunge l’atmosfera da club privato (e anche molto, molto esclusivo) che connota gli eventi di alta moda e alta sartoria della maison - il New Yorker ha centrato la definizione perfetta: The Couture Club ecco restituito il senso della lunga trasferta orientale di Dolce e Gabbana: incontrarsi, mettersi in gioco davvero e in prima persona («le case di moda italiane, che sono ancora di proprietà degli stilisti, possono farlo fino in fondo dice Stefano Gabbana - i grandi gruppi del lusso no. E i francesi, per questo, ci detestano»), conoscere, assorbire tutto quello che si può dei desideri e delle esigenze dei clienti sparsi per il mondo e da lì partire per rinnovarsi. Un’idea di evoluzione senza preconcetti, che non esclude mai nulla per sempre. «Il no di oggi - riassume Domenico Dolce - domani può essere un si».