LE RICETTE IN LIBERTÀ SUI CONTI
Non può essere un caso se tutte le lingue hanno proverbi per dire sempre la stessa cosa: non puoi avere tutto e il contrario di tutto, prima o poi devi scegliere quello che vuoi e vivere con le conseguenze. È il problema della botte piena e la moglie ubriaca; del burro, i soldi del burro e il sorriso della lattaia in francese; dell’avere il dolce e mangiarlo in inglese; delle due cose in una in tedesco; o dell’andare in processione e insieme stare a messa in spagnolo. È un concetto universale, eppure non sembra applicarsi al dibattito italiano sul bilancio pubblico.
Praticamente senza eccezione, le forze politiche ne parlano come se tutto fosse possibile allo stesso tempo: tagliare o non aumentare tasse di nessun tipo, non ridurre davvero la spesa, tenere sotto controllo il deficit e non lasciare crescere il debito, garantire la stabilità finanziaria e un accettabile tasso di crescita per l’anno prossimo. Naturalmente questi risultati tutti insieme, in teoria, sono plausibili per qualunque Paese a un certo punto della sua storia. Ma questo non è un Paese qualunque e la scelta del momento non è indifferente. L’Italia ha problemi specifici di crescita e di debito, e deve organizzare una risposta strategica in tempi certi perché il sostegno della Banca centrale europea verrà gradualmente meno nel 2018. In questo senso, il Documento di economia e finanza presentato dal governo sarà forse contraddittorio, ma almeno ha il merito di far capire quali sono le scelte davanti a noi.
Per esempio un’inflazione almeno dell’1,7%, che eroda il peso del debito rispetto al fatturato dell’Italia espresso in quantità di euro, è impossibile nel 2018 senza un aumento dell’Iva che faccia salire i prezzi. Dunque c’è una scelta da compiere: vogliamo far salire l’Iva o andare verso l’undicesimo anno di aumento del debito pubblico? Altro esempio: prefigurare una correzione dei conti da 19,5 miliardi e allo stesso tempo prevedere una crescita del reddito nazionale dell’uno % — quasi come quest’anno — forse non è del tutto irrealistico, ma molto audace. Anche qui si tratta di decidere: nel 2018 è meglio accelerare nel risanamento o andarci piano per salvaguardare la ripresa? È ancora: ridurre le tasse è quello che tutti chiedono, ma serve un miracolo perché l’anno prossimo siano pronti i tagli di spesa per finanziare una decisione del genere. Non fare sacrifici, tenere il deficit sotto controllo e il debito in sicurezza allo stesso tempo per l’Italia nel 2018 è impossibile. Si tratta di decidere cosa vogliamo, nelle condizioni date: nel 2018 la Bce smetterà dopo tre anni di comprare titoli di Stato — anche se non volesse — perché comunque avrà raggiunto il massimo degli acquisti legalmente possibili; di conseguenza i tassi d’interesse sul debito, a carico dei contribuenti, tra non molto inizieranno a salire in anticipazione di quel passaggio. Questo avviene sullo sfondo di una fuoriuscita di capitali dal Paese, come mostra l’aumento da 386 a 419 miliardi fra febbraio e marzo del deficit dell’Italia in Target 2, il sistema di pagamenti fra le banche centrali. Quel saldo è meno negativo, rispetto al reddito nazionale, di quanto non avvenga per altri Paesi dell’area euro. Ma non possiamo far finta che non esista. Così come non possiamo pretendere di non vedere i segnali delle agenzie di rating. Da anni stanno migliorando i giudizi sui Paesi colpiti dalla crisi nel 2010, dalla Spagna al Portogallo. Solo l’Italia si muove in senso inverso: c’è appena stato il declassamento di Fitch, seguito a quello di Dbrs, mentre Moody’s ci dà «prospettive negative». Anche gli irlandesi hanno un proverbio. Un tale chiede a un altro la strada per Dublino, quello ci pensa su e gli risponde: «Sir, fossi in lei, non partirei da qui». Neanche noi italiani partiremmo da qua, da un debito al 133% del reddito nazionale. Ma è di qua che dobbiamo partire. Trattare gli elettori come bambini, fingendo di non capire quali sono le scelte, non fa che aumentare la loro sfiducia nel sistema politico. E alla fine compierle, qualunque esse siano, diventa solo più difficile.