Gentiloni: Alitalia morirà se verrà bocciato il piano
Il premier interviene sul referendum in corso
Nessun piano B per Alitalia: se il referendum sul preaccordo dovesse dare esito negativo, si aprirebbe la strada del commissariamento. L’ha ricordato il premier Gentiloni: «Senza intesa sul nuovo piano industriale l’Alitalia non potrà sopravvivere». Per la leader cgil Susanna Camusso «non c’è alternativa per salvarla».
MILANO Per Alitalia non c’è un Piano B e se il referendum sul preaccordo siglato da azienda e sindacati dovesse fallire si andrà verso il commissariamento. Alla vigilia dell’apertura delle urne lo aveva detto chiaramente la leader della Cgil, Susanna Camusso: «I costi si stanno scaricando tutti sui lavoratori, ma siamo coscienti che non c’è alternativa per provare a salvarla». E ieri a ricordare «a tutti la gravità della situazione» è stato il premier Paolo Gentiloni.
«So bene che ai dipendenti vengono chiesti sacrifici — ha detto il presidente del Consiglio in una dichiarazione — ma so che senza l’intesa sul nuovo piano industriale l’Alitalia non potrà sopravvivere». Ieri sera aveva votato circa il 70% dei dipendenti, le urne si chiudono domani alle 16. L’intervento del premier è dunque un richiamo alla responsabilità. «Alitalia è un’azienda privata — ha proseguito —. Di fronte alle sue perduranti e serie difficoltà il governo ha incoraggiato gli azionisti italiani e stranieri a impegnarsi in un nuovo piano industriale e in una forte ricapitalizzazione della società».
Il preaccordo del 14 aprile su cui sono chiamati a esprimersi i lavoratori di Alitalia prevede tagli in media dell’8% alle retribuzioni del personale e 980 esuberi con contratti a tempo indeterminato, oltre alla riduzione del numero dei riposi annuali. Se dovesse vincere il «Sì» partirebbe il piano di rilancio: una ricapitalizzazione da 2 miliardi, di cui 900 milioni di nuova cassa, il rafforzamento delle rotte a lungo raggio, investimenti in nuovi aerei, e discontinuità aziendale, come spiegato dal presidente designato Luigi Gubitosi e dal presidente uscente Luca Cordero di Montezemolo nei giorni scorsi. Due giorni ha rassegnato le dimissioni la manager delle contestate divise della compagnia, il chief customer officer Aubrey Tiedt mentre non dovrebbe essere rinnovato il contratto anche a Ana Maria Escobar, pricing e revenue manager.
Ma se dovessero prevalere i «No» non c’è alternativa al commissariamento, con conseguente conto a carico dello Stato — ricordato dal ministro dello Sviluppo Carlo Calenda — per «più di un miliardo». E stanno crescendo i timori che la rabbia dei dipendenti, per come si è sviluppata la vicenda, possa riversarsi nelle urne, nonostante gli appelli dei giorni scorsi dei sindacati. La leader Cisl Annamaria Furlan ha detto chiaramente che il rischio è un destino «senza ritorno» per l’ex compagnia di bandiera e il numero uno della Uil Carmelo Barbagallo si è appellato al «senso di responsabilità» dei lavoratori.
I seggi sono in tutto sette, cinque a Fiumicino e gli altri a Linate e Malpensa. Secondo i dati di Uiltrasporti l’affluenza «era a circa il 55%» alla chiusura dei seggi di venerdì sera, vicina al 70% ieri sera. Un’affluenza alta che però desta qualche preoccupazione tanto che ieri, terzo giorno di voto, Antonio Divietri, segretario generale dell’Anpac (l’Associazione nazionale piloti aviazione commerciale) sottolineava che «non c’è alternativa al Sì», ma ammetteva «onestamente di non sapere come andrà a finire», auspicando «che prevalga il buon senso»: «Il referendum si sta svolgendo in modo ordinato — ha spiegato — l’affluenza è alta ma la gente è arrabbiatissima e ne ha tutte le ragioni».