Corriere della Sera

Marine e Jean-Luc, gli affabulato­ri «amici del popolo» che si giocano tutto

La doppia sfida dei candidati anti-establishm­ent

- SEGUE DALLA PRIMA Aldo Cazzullo

Tra poche ore la candidata saprà se sarà valsa la pena di rinnegare se stessa. Come Sonia Gandhi ha passato la vita a far dimenticar­e di essere italiana, così Marine ha dedicato gli ultimi cinque anni a far dimenticar­e di essere la figlia di Jean-Marie Le Pen. Si è tolta il cognome: sul sito e nelle affannose mail delle ultime ore si firma sempliceme­nte «Marine». Sparite le insegne del Front National e il simbolo della fiamma, sostituita da una rosa, anch’essa blu per distinguer­la da quella rossa della sinistra. Il padre chiuso nel magazzino delle scope, i vecchi camerati messi da parte, la nipote Marion — più legata all’idea della destra classica — definita «fredda e rigida» («sto lavorando per diventare calda e morbida» ne ha riso lei).

La fascista immaginari­a

Il saggio che tutte le librerie della Rive Gauche tengono alla cassa si intitola «Riconoscer­e il fascismo». È il testo di un discorso che Umberto Eco tenne alla Columbia il 25 aprile 1995. «Eppure Marine non è una facho, una fascista. È una bobo, una borghese-bohémienne» teorizza il suo biografo, Renaud Dély. L’amica del popolo è un’avvocata parigina benestante, cresciuta in una villa nel parco di Saint-Cloud, divorziata due volte. E la portabandi­era dell’estrema destra ha rinnegato l’antisemiti­smo e scelto come ideologo Florian Philippot, già uomo di Chevènemen­t, ex ministro dell’Interno socialista. Cita De Gaulle, ma si sente Giovanna d’Arco: «Gli insulti alla Francia sono insulti a me, le sofferenze della Francia sono le mie sofferenze...».

Nelle ultime ore Marine ha inasprito i toni contro il «mostruoso totalitari­smo islamista»; e dopo l’attacco degli Champs-Elysées era inevitabil­e. Attaccando­la frontalmen­te, il premier Cazeneuve le ha fatto un favore, restituend­ole centralità. Per tutta la campagna, del resto, non si è parlato che delle sue idee: fine di Schengen, chiusura delle moschee radicali, espulsione dei sospetti. Ma anche revisione dei trattati europei, denuncia degli accordi di libero scambio, referendum sull’euro. Le sue idee economiche sono molto distanti da quelle del padre, liberista e thatcheria­no. Il settimanal­e Le Point le ha confrontat­e con il programma comune tra socialisti e comunisti che portò Mitterrand all’Eliseo, e vi ha trovato otto proposte pressoché identiche. A cominciare dalla pensione a sessant’anni, sostenuta anche dall’altro candidato antisistem­a, il leader della sinistra radicale Jean-Luc Mélenchon.

Lei parla di «protezioni­smo intelligen­te». Lui di «protezioni­smo solidale». Hanno anche scritto ai ferrovieri in sciopero due lettere quasi uguali, a cominciare dall’intestazio­ne: «Chers camarades cheminots...». Li avvicina il nazionalis­mo, l’orgoglio identitari­o per «l’eccezione francese», la promessa di aumentare la spesa sociale, l’ostilità ricambiata per la finanza internazio­nale e i mercati: in questi giorni peraltro molto tranquilli, segno che le chances di vittoria della donna e dell’uomo anti-establishm­ent sono considerat­e bassine.

Il Bertinotti di Francia

Più che la Le Pen, a un italiano Mélenchon ricorda però Bertinotti nei suoi momenti più belli. Entrambi ex socialisti, bravi come oratori, ancora meglio come affabulato­ri (per non dire parolai), fascinosi con i loro occhi chiari, affascinat­i da

Punti di contatto Lei: «Protezioni­smo intelligen­te». Lui: «Protezioni­smo solidale»

Castro e Chávez, accurati nel vestire. Cliccatiss­ima in rete la foto di Mélenchon con un Rolex da 17 mila euro: era un falso («porto da sempre un Seiko che costa cento volte meno!»). Era vera invece la citazione di un’intervista del 1991 al Parisien, in cui il gauchiste dice che «l’unico partito a riabilitar­e la politica è il Front National».

Stanotte il lungo viaggio si conclude. Per Jean-Luc come per Marine è l’occasione della vita. Lui sogna il ballottagg­io, ma sarà durissima. Lei può essere in testa — i sondaggi non lo dicono, le voci di redazione sì — per poi giocarsi tutto tra due settimane; e già fa sapere che non vivrebbe all’Eliseo, per non scombussol­are i tre figli e i tre gatti. Il secondo posto è il risultato minimo. Se invece non dovesse farcela, la detestata nipotina Marion è pronta a sottrarle la leadership, fresca dei suoi 27 anni. Ma sarebbe una sorpresa clamorosa.

Mélenchon non ha sospeso la campagna dopo l’assassinio dell’agente Xavier Jugelé. Ha sostenuto che i terroristi non devono influenzar­e la vita democratic­a, e ha tenuto sino all’ultimo i suoi «Apéro des insoumises», gli aperitivi in cui brinda con altri irriducibi­li come lui. La Le Pen si è ritirata nella sua Hénin-Beaumont, il triste borgo minerario dove un tempo governavan­o i comunisti e dov’è ora sindaco il fido Steeve Briois (lei è consiglier­a comunale). La settimana scorsa in Bretagna, terra d’origine del padre, un contestato­re l’ha sfidata a parlare bretone: non sapeva una parola. Ringalluzz­ito, le ha urlato: «Se non parli neanche la tua lingua, come puoi pensare di essere migliore dei tuoi avversari?». Lei gli ha risposto a tono: «Perché tutti loro sono già stati al potere. Tutti». Anche Jean-Luc Mélenchon: ministro dell’Istruzione del governo Jospin fino al 21 aprile 2002, quando i candidati di sinistra si eliminaron­o l’un l’altro, e il ballottagg­io fu tra le due destre.

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