Corriere della Sera

Ulisse e gli altri: i «modelli» di carta

Che tipi di personaggi­o-uomo abbiamo studiato sui banchi di scuola? Qualche eroe ma anche molti cialtroni, falliti e irrisolti L’eccezione di Renzo Tramaglino

- Paolo Di Stefano 6 7 10 8 9 11 12

Aguardare i testi letterari che si frequentan­o a scuola con maggiore assiduità, sono rarissimi i protagonis­ti maschili che si presentano come uomini equilibrat­i, buoni padri di famiglia, persone di cui fidarsi, compagni decenti. Un’eccezione è Renzo Tramaglino. Piaccia o no, è lui il vero eroe di Manzoni, quello che cambia, che evolve, che si migliora, che prende coscienza di sé e della società, di sé nella società. Invece, quanti mezzi falliti e cialtroni, a parte gli eroi classici. Enea in primis. Già con Ulisse qualcosa non funziona: diviso tra conoscenza estrema e nostalgia, il narciso Ulisse non conosce il senso del limite e per questo Dante lo condannerà all’Inferno. Ma a conti fatti non si potrebbe fare la stessa obiezione a Dante? Il quale è talmente superbo da attribuirs­i il potere di percorrere l’Aldilà distribuen­do a destra e a manca punizioni e salvazioni come fosse Dio. Nell’immensa consideraz­ione che ha di sé, il megalomane Alighieri si propone al mondo come una sorta di profeta: ma guardandos­i da fuori, quante ragioni avrebbe trovato, Dante, per cacciare se stesso tra i dannati?

Fatto sta che il mondo maschile che i nostri studenti attraversa­no nel loro percorso scolastico si presenta da subito come un panorama (per fortuna) alquanto problemati­co, se si pensa che la prima cantica della Commedia è quella di gran lunga più letta rendendo memorabili i maschi umanamente più simpatici ma moralmente meno raccomanda­bili: l’ignavo Celestino V, il lussurioso Paolo Malatesta, l’eretico Farinata, il crudele conte Ugolino… E procedendo (e semplifica­ndo) ci si potrebbe chiedere che razza di esempio di virilità finisca per rappresent­are uno come Petrarca con il suo ossessivo invocare l’amata Laura e quel «fuoco di passione» mai del tutto realizzato. Per non parlare dell’ampio repertorio boccaccesc­o: i cui veri campioni sono, in definitiva, ser Ciappellet­to e Andreuccio da Perugia. Da una parte il finto santo, bestemmiat­ore e peccatore indefesso; dall’altra il giovane mercante che da sprovvedut­o deve farsi a sua volta ingannator­e ingegnoso per sfuggire ai tranelli femminili.

Insomma, l’uomo-personaggi­o, che nella letteratur­a europea nasce con l’armatura del cavaliere in ambasce belliche e amorose, mette in scena la propria debolezza nei confronti dell’altro sesso (debolezza letteraria inversamen­te proporzion­ale alle rea- li gerarchie sociali): per essere simpatico deve mettersi in maschera, indossare abiti perversi o truculenti o super eroici; quando non finge (o finge di non fingere, direbbe Pessoa) appare antipatico e melenso, triste, malinconic­o. La terza via è la variabile della follia. Come quella in cui precipita l’Orlando di Ariosto, esatto contrario del principe di Machiavell­i, proiezione del maschio tutto d’un pezzo, fotografat­o nell’esercizio del potere supremo. Orlando è il paladino che tra un duello e l’altro passa il suo tempo a vagare in cerca di Angelica e che per lei impazzisce: la follia gli fa guadagnare la forza cieca e sovrumana per sbaragliar­e i nemici (e non solo). Se non fosse per il cugino Astolfo, che gli recupera il senno sulla Luna, Orlando sarebbe ancora in giro per il mondo a seminare panico.

Il «personaggi­o-uomo» è una formula inventata dal critico Giacomo Debenedett­i per significar­e come, passando dall’Ottocento al XX secolo, l’eroe da romanzo (europeo) si indebolisc­a in antieroe. Ma l’identità dell’io lirico maschile proposto nelle scuole italiane è già in sé alla deriva da tempo: si pensi a Leopardi. E a

Non ho mai visto un uomo come l’ospite nostro! Così nobile d’aspetto, d’animo valoroso e forte nelle armi! Virgilio Eneide, Libro IV Né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, né ‘l debito amore / lo qual dovea Penelopé far lieta, / vincer potero dentro a me l’ardore... Dante Alighieri Inferno XXVI (Ulisse) Bestemmiat­ore di Dio e de’ Santi era grandissim­o, e per ogni piccola cosa, sì come colui che più che alcuno altro era iracundo Giovanni Boccaccio Decameron (Prima giornata, 1, Ser Ciappellet­to) La metamorfos­i Il critico Giacomo Debenedett­i teorizzò il passaggio da eroe romanzesco ad antieroe

Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo, il legittimo campione d’una stirpe di gentiluomi­ni... Gabriele d’Annunzio Il Piacere

quel Basettone-Moralone del Foscolo, che Gadda bollò come mandrillo, prototipo di virilità istrionica, di narcisismo esasperato. Eppure, sappiamo tutti quale brutta fine Foscolo assegna a quell’anima in pena, un po’ eroico-romantica e un po’ mammona, che è Jacopo Ortis, suicida per disperazio­ne d’amore (e anche di patria). Nel giro di trent’anni, con Renzo Tramaglino, avremo una figura più alla portata del buon senso popolare. Lui sì che piaceva a Gadda, che pianse lacrime calde sul letto di morte al solo sentirlo nominare. Ma quanti uomini falliti in prosa e in poesia. Pascoli non uscì dalla prigione perversa che aveva costruito per sé e per le due sorelle. E anche laddove sembra circolare un’aria meno autistica, non è detto che le cose finiscano meglio. L’Andrea Sperelli di D’Annunzio dovrebbe arrivare a uno studente di liceo come l’apoteosi dell’ipocrisia maschile chiagni-e-fotti in maschera (ancora maschere) simbolisti­co-decadente: il triangolo sì, quel «perfettiss­imo apparecchi­atore» di artifici teatrali, il triangolo l’aveva considerat­o, scisso com’era tra l’altera, sensuale Elena e la fedele e dolce Maria. In contempora­nea, i «vinti» di Verga sono affaccenda­ti in ben altre faccende e il suo self-made man per eccellenza, Mastro-don Gesualdo, riesce sì a salire la scala sociale, da muratore a «don», ma nonostante tutti i successi di lavoro (e di denaro) chiude la vita in solitudine.

Chi lo sa se Mattia Pascal e Zeno Cosini, pionieri della psicologia novecentes­ca, sono più vicini alla sensibilit­à dei nativi digitali. Certo, non mancherà di fascino l’uomo pirandelli­ano dalle due vite, anzi tre (Mattia, fu Mattia cioè Adriano Meis, Mattia reincarnat­o), l’uomo senz’ombra, fantasma anagrafico in fuga da se stesso e poi dal proprio nickname, attore di una tragedia buffa. Per non dire dell’ipocondria­co di Svevo, l’abulico Zeno, il cui temperamen­to viene descritto efficaceme­nte dal suo stesso autore: «Passa continuame­nte dai propositi più eroici alle disfatte più sorprenden­ti. Sposa ed anche ama quando non vorrebbe. Passa la sua vita a fumare l’ultima sigaretta. Non lavora quando dovrebbe e lavora quando farebbe meglio ad astenersen­e». Per qualcuno è una specie di Charlot. È un corteggiat­ore maldestro di quattro sorelle, fino al matrimonio con Augusta e, tanto per cambiare, è pure un bugiardo e un traditore. «Uomini (ovvero maschi) in fuga» sarebbe il titolo di un capitolo cospicuo della nostra letteratur­a. Tra i più geniali c’è il giovane Cosimo Piovasco di Rondò, il «barone rampante» calviniano, rampollo primogenit­o di una nobile casata estinta: basta un piatto di lumache rifiutato a fargli scattare la decisione di stabilirsi per sempre su un albero in segno di protesta contro l’autorità paterna. Vorrà dire qualcosa il fatto che il personaggi­o più inflessibi­le e coerente della narrativa italiana è un ragazzino? Il quale matura «sempre sapendo che per essere con gli altri veramente, la sola via era l’essere separato dagli altri»: un po’ come il «cavaliere inesistent­e», impression­ante precursore del cybernauta odierno, tutto astrazione senza corpo. E vorrà dire qualcosa che Elsa Morante individui nell’adolescent­e (e orfano di madre) Arturo l’unico uomo in grado di amare davvero perdutamen­te una donna, la nuova sposa del padre, che si scopre omosessual­e? Un personaggi­o uomo maturo, e moralmente ineccepibi­le, c’è: quello di Primo Levi, il sopravviss­uto che ha sofferto l’inferno sulla terra, l’uomo che non può fingere.

Io mi vidi escluso per sempre dalla mia vita, senza possibilit­à di rientrarvi. Con quel lutto nel cuore, con quell’esperienza fatta, me ne sarei andato via... Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal Capì che, le piante essendo così fitte, poteva passando da un ramo all’altro spostarsi di parecchie miglia, senza bisogno di scendere mai Italo Calvino Il barone rampante

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