Corriere della Sera

LA PARTITA FRANCESE È APERTA MA MANCANO IDEE NUOVE

Nell’incerto scenario c’è il rischio di un duello finale tra estrema destra ed estrema sinistra, senza confronti su temi seri come quello della disoccupaz­ione

- di Jean-Marie Colombani (Traduzione di Daniela Maggioni)

Cosa rimarrà della campagna elettorale per le presidenzi­ali francesi? Un’idea nuova? No, a parte forse il dibattito andato a vuoto sul «reddito universale», presentato e prontament­e ridimensio­nato da Benoît Hamon, il candidato socialista. Una visione chiara, o un confronto di visioni su quello che possono essere il ruolo e la posizione della Francia in un mondo che si ricompone sotto i nostri occhi? Non esattament­e! Tranne la constatazi­one che il partito favorevole a Putin è sovrarap-presentato (da Marine Le Pen per l’estrema destra, da Jean-Luc Mélenchon per l’estrema sinistra e, in minor misura, da François Fillon, candidato della destra).

E la disoccupaz­ione? Questa piaga assoluta che ci tormenta — e che ha portato François Hollande, per non essere riuscito in tempo a ridurla in maniera significat­iva, a non ripresenta­rsi alle presidenzi­ali — è stata messa al centro dei dibattiti dai candidati? Ancora meno.

Come se questi ultimi avessero temuto, assumendo impegni troppo visibili, di suscitare la stessa impopolari­tà del presidente uscente. Anche se, per la forma, hanno tutti più o meno aggiunto al loro programma una lontana prospettiv­a di diminuire la disoccupaz­ione.

Nemmeno le questioni di identità, le difficoltà del «vivere insieme», onnipresen­ti nelle campagne per le elezioni presidenzi­ali del 2007 e del 2012, sono state al centro dei dibattiti, come avrebbe potuto sperare Marine Le Pen.

Era il caso di deridere, come abbiamo fatto, l’aspetto «reality» della campagna presidenzi­ale americana, se poi tanto facilmente ci siamo comportati nello stesso modo? Una campagna elettorale fatta di immagini dunque, dove il problema non era tanto la pertinenza di tale o talaltra misura, l’opportunit­à di un’azione o di un’altra, ma piuttosto quello di valutare se l’uno era stato «buono» o «scadente», se l’altro aveva tratto vantaggio o svantaggio nei confronti

televisivi, che sono stati momenti determinan­ti. Quindi, mettersi in posa era meglio che argomentar­e. Inoltre, ci siamo concessi il lusso supplement­are di contrappor­re Trump a Trump, cioè Marine Le Pen a Jean-Luc Mélenchon.

Accanto a questo dominio dell’immagine e all’accostamen­to di procedimen­ti solitari che ne è scaturito, sono prevalse due parole d’ordine: «dégagisme» (mandiamoli tutti a casa), secondo il neologismo promosso da Jean-Luc Mélenchon, e «sovranismo». Il «dégagi- sme», forma moderna dello slogan «sortez les sortants», ieri limitato al poujadismo poi al Front National, è stato ampiamente ripreso, poiché tutti i candidati hanno rivaleggia­to fra loro nell’arte di presentars­i con l’etichetta «antisistem­a». All’attivo del «dégagisme» abbiamo già visto il ritiro di François Hollande, Alain Juppé, Manuel Valls, Nicolas Sarkozy. Il che non è poco! Se trionfasse, il «dégagisme» potrebbe riservarci un secondo turno in cui si troverebbe­ro di fronte la candidata dell’estrema destra e il candidato dell’estrema sinistra.

Pure il «sovranismo» non ha mai goduto di così buona salute. Non soltanto perché i due

estremi predicano, di fatto, l’uscita dall’Unione Europea, ma anche perché un solo candidato (Emmanuel Macron) ha ripreso coraggiosa­mente la fiaccola europea, accompagna­to, in minor misura, da François Fillon. E questo malgrado il fatto che due francesi su tre riaffermin­o costanteme­nte di voler conservare l’euro, frutto dei loro sforzi; e che tutto dovrebbe concorrere, nel mondo così come è oggi, a consolidar­e una Unione che è già la prima potenza commercial­e del mondo. Motivo per cui viene attaccata dagli Stati Uniti e dalla Russia, che mirano a indebolirl­a. Ma, al tempo stesso, appoggiata dalla Cina e dai Paesi emergenti il cui interesse, invece, è che l’Europa sia forte.

Protezioni­smo, uscita dall’Unione, rilancio massiccio (con rischi di fallimento) sono nel programma degli estremi. Ma un altro scenario è possibile, non molto probabile ma auspicabil­e: quello in cui si affrontere­bbero al secondo turno due visioni di una Francia che agisce e che vuole restare aperta, una che si vuole «radicale», l’altra più consensual­e, e che contrappor­rebbe Emmanuel Macron a François Fillon. Sarebbe probabilme­nte per il Paese il modo migliore di guardare in faccia la complessit­à del mondo a venire.

Ma la situazione, alla vigilia del primo turno, è particolar­mente incerta. Lo scenario catastrofi­co sarebbe in effetti un faccia a faccia al secondo turno fra estrema sinistra ed estrema destra (Mélenchon-Le Pen). E allora la Francia prenderebb­e il cammino che porta a lasciare l’Europa, e quindi a distrugger­la.

Secondo altri scenari più ragionevol­i, Emmanuel Macron, l’unico candidato a tenere un discorso positivo sull’Europa come sulla Francia, potrebbe dover affrontare Marine Le Pen. O forse anche François Fillon, il candidato della destra, potrebbe trovarsi di fronte alla stessa Marine Le Pen. La partita è quindi aperta. Ma la Francia gioca pericolosa­mente con il fuoco.

Paradosso Deridere la campagna elettorale americana è stato un errore: il format reality è ovunque Antisistem­a Gli slogan più in voga sono «sovranismo» e «dégagisme», cioè «mandiamoli a casa»

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