Corriere della Sera

I timori sulla vittoria del No, il consulto tra ministri e l’intervento a urne aperte

- di Lorenzo Salvia

ROMA Dati ufficiali non ci sono perché si voterà fino a lunedì pomeriggio e non sono previsti exit poll, nemmeno informali. Ma la «prevalenza del No» è più di una sensazione, nelle ultime ore si è trasformat­a in timore, quasi in certezza. Ed è stata proprio questa escalation emotiva a spingere Alitalia, ma anche un parte dei sindacati, a chiedere un intervento «dall’alto». Prima di parlare, prima di dire che «senza intesa Alitalia non sopravvive­rà», Paolo Gentiloni si è consultato con i ministri che seguono il dossier, Graziano Delrio e Carlo Calenda.

Durante quel giro di telefonate continuava a salire l’affluenza per il referendum sul preaccordo che chiede pesanti sacrifici ai lavoratori in cambio di una nuova ricapitali­zzazione. Ieri sera si viaggiava verso il 70%, dopo il 55% registrato alla chiusura dei seggi di venerdì. L’alta affluenza non è per forza di cose una prova della vittoria del No. Ma è un indizio. Basta fare un giro tra i banchi di Fiumicino per sentire che per i lavoratori di Alitalia il sentimento più forte è la «rabbia». Non solo per quello

che potrebbe succedere nei prossimi giorni, ma anche e soprattutt­o per quello che è successo negli ultimi anni. Una rabbia rivolta più al passato che al futuro, ma che nelle urne si farà sentire. Dal 2008 siamo arrivati alla terza procedura di pre fallimento. Nel frattempo il numero dei dipendenti si è quasi dimezzato, passando da 21 mila a 12 mila, come quello degli aerei, scesi da 230 a 120. Altri sacrifici, come il taglio dello stipendio dell’8% contenuto nel preaccordo, non sono certo ben visti. Senza contare la tentazione

del No «a prescinder­e», del No di pancia, del resto in linea con lo spirito dei tempi. Che fare?

Viene scartata l’ipotesi di un nuovo intervento da parte dell’azienda, dopo quello in television­e del presidente designato Luigi Gubitosi. È vero che i dipendenti di Alitalia sembrano aver apprezzato i primi, piccoli, segnali di discontinu­ità, con il prossimo addio di Aubrey Tiedt, la manager che ha curato le nuove divise del personale, e di Ana Maria Escobar, responsabi­le delle tariffe. Ma si teme che un nuovo pronunciam­ento «aziendale», un nuovo invito a votare sì da parte dei vertici, possa avere un effetto boomerang. Stesse consideraz­ioni per un intervento dei sindacati, che il preaccordo l’hanno firmato anche se non proprio all’unisono. Ma che non sempre riescono a «tenere» la base. Di qui l’idea di un nuovo intervento «politico». Non solo del «più alto in grado», ma anche di chi per stile non è solito entrare a gamba tesa e infatti si è guadagnato il soprannome di «diplomatic­o resiliente». Gentiloni decide di far sentire la sua voce, con quello che di fatto è un caldo invito a votare sì, a urne ancora aperte. Pochi giorni fa era stato il ministro della Sviluppo Calenda a intervenir­e. Aveva detto che, con la vittoria del No, lo Stato avrebbe dovuto tirar fuori un miliardo. Non per salvare un’altra volta Alitalia, operazione che al momento sarebbe di scarsa popolarità. Ma come costo per gli ammortizza­tori sociali per accompagna­re la possibile liquidazio­ne. Non è bastato, evidenteme­nte, ad arginare la temuta prevalenza del No.

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Governo Da sinistra a destra: Graziano Delrio, Paolo Gentiloni e Carlo Calenda
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