Corriere della Sera

«Opere, bene la cura dimagrante ma quelle decise bisogna farle»

Pizzarotti: vogliamo crescere ancora all’estero. I dividendi? Restano in azienda

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C’è stata una fase nelle quale i lavori pubblici, nei cantieri e sulla carta, sono diventati tanti, circa 360 miliardi di risorse stanziate (o annunciate). Adesso siamo intorno ai 90 miliardi. «Forse si era andati oltre, adesso c’è un maggiore realismo delle infrastrut­ture che si possono, e si devono realizzare», spiega Michele Pizzarotti. Quarta generazion­e. «Quando mio bisnonno ha iniziato nel 1910 ha stabilito un principio: i dividendi vanno tutti reinvestit­i nella società. E così accade ancora adesso. Ormai contiamo su un patrimonio netto di 500 milioni. L’anno scorso (2015) l’Ebitda ha raggiunto il 13,5%».

Un’impresa tutta familiare in un settore dove il made in Italy sembra funzionare...

«In questi anni abbiamo dovuto redistribu­ire le nostre attività, ormai il 70% viene realizzato all’estero e il 30% in Italia. Ci rendiamo conto che in vari punti della macchina burocratic­a si creano intoppi che rallentano tutto. Un esempio? Per una valutazion­e di impatto ambientale ci sono voluti quattro anni. Aspettiamo un decreto interminis­teriale per un’opera da più di un anno. Così è difficile lavorare».

Prendiamo un progetto, Campogalli­ano-Sassuolo. Centrale per agevolare l’export del distretto delle ceramiche, a che punto è?

Il tunnel ferroviari­o del Gottardo è una delle opere alla quale la ditta Pizzarotti ha lavorato. In particolar­e la ditta ha realizzato la galleria di base, detta galleria Sedrun nuovo per le infrastrut­ture, ma manca l’ultimo tassello per partire».

Aspettiamo un decreto interminis­te riale per un’opera da più di un anno. Così è difficile lavorare

Forse anche perché in passato le opere pubbliche sono state fonte di spese cresciute oltre ogni limite...

«Certo, ci sono state opere ridondanti, ora il sistema è dimagrito. Ed è un bene, ma quelle decise bisogna farle. Sa quanto investe Parigi per la sua metropolit­ana?».

No, quanto...

«Trenta miliardi di euro. Con altri 10 per la parte immobiliar­e si arriva a 40».

Sì, ma con il nostro deficit non possiamo...

«Vero, i conti dello Stato sono una priorità. Ma quello che è stato deciso andrebbe fatto. Sull’alta velocità Milano-Verona abbiamo da poco concluso il tratto da Milano fino a Brescia. Ora manca un passaggio del Cipe per proseguire fino a Verona. Un’opera considerat­a necessaria per i collegamen­ti ferroviari».

Così il gruppo ha spinto sull’export...

«Lavoriamo in 17 Paesi, dal Perù al Kuwait, dove stiamo realizzand­o degli ospedali. Al Camerun dove stiamo lavorando all’housing sociale con 10 mila alloggi. In Francia nei primi anni Novanta abbiamo realizzato un pezzo di Eurodisney e dell’aeroporto Charles de Gaulle. Di recente l’ospedale di Marsiglia, nel cuore della città».

Ma cosa ci riconoscon­o all’estero in questo settore, penso anche a Salini-Impregilo, Astaldi, Condotte...

«Una grande capacità tecnica e ingegneris­tica».

Più che in Italia...

«No. Però ogni tanto l’Italia dovrebbe esserne un po’ orgogliosa. Opere come il traforo del San Gottardo , scavato anche a profondità di oltre 2 km e con i suoi 57 km di lunghezza, sono un vanto per i saperi del nostro Paese».

Poi c’è la Brebemi che stenta a partire...

«Lì ci sono problemi di accesso ora stiamo realizzand­o l’interconne­ssione con la Milano-Venezia, dovrebbe essere pronta per la fine di quest’anno. Ma giudicare un’opera in project finance a un anno dall’apertura è troppo poco. Ci vorrà un po’ di tempo perché gli automobili­sti si accorgano del vantaggio. E la connession­e aiuterà».

Forse delle volte le opere nascono quando servono e vengono realizzate quando non servono più...

«In questo la burocrazia non aiuta».

L’Italia è un Paese da mettere in manutenzio­ne, come sostiene Renzo Piano...

«Se pensiamo al dissesto idrogeolog­ico e agli ultimi tragici accadiment­i del terremoto servirebbe una riflession­e profonda per una cura costante del territorio. Una lavoro di manutenzio­ne sarebbe ancora più rilevante delle grandi opere annunciate in passato».

Mai un dividendo distribuit­o, tutto nell’impresa. E’ un’

«Servirebbe una riflession­e profonda per una cura costante del territorio»

eccezione nel panorama italiano...

«E’ la regola della nostra famiglia. Ci ha consentito di crescere e restare solidi. Il gruppo realizza un ebitda del 13,5%. Abbiamo appena realizzato un accordo con la famiglia Roberts in Australia per opere infrastrut­turali e immobiliar­i. Vogliamo crescere ancora all’estero».

E Parma, come va con il gruppo «Parma Io ci sto»...

«Siamo entrati con un gruppo di imprendito­ri che ha deciso di fare qualcosa per la città. Ora si sta pensando a come valorizzar­e la Pilotta, costruita dai Farnese nel 1580. Un gioiello. Rivitalizz­erebbe Piazza Della Pace. Ma è in particolar­e come famiglia Pizzarotti che vogliamo realizzare progetti nel sociale soprattutt­o legati all’infanzia in quei territori dove lavoriamo, a partire da Parma ma anche nel resto d’Italia e all’estero. Per fare ciò, io e i miei fratelli Pietro ed Enrica abbiamo deciso di costituire una Fondazione che è presieduta da mia sorella. È il progetto che ci sta più a cuore».

E poi la speranza che il Parma calcio salga in serie B...

Dopo il terremoto

«Non ero tanto convinto, ma questo gruppo di sette imprendito­ri sta funzionand­o».

Che sia un modello per altre città?

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