Castellucci: stavolta niente scandali, faccio teatro politico
Che il suo ultimo lavoro sembri legato allo tsunami politico scatenato dall’ingresso di Donald Trump alla presidenza degli Usa è «una fatale coincidenza» spiega Romeo Castellucci, il poeta guerriero star del teatro italiano e internazionale, che da trent’anni con i suoi spettacoli divide le platee, come è successo per il discusso Sul concetto di volto nel Figlio di Dio.
Il regista di Cesena prepara il debutto, il 27 aprile al Fabbricone di Prato (poi a Bologna e Trento), di La democrazia in America, dal libro di Alexis de Tocqueville, un testo del 1835 divenuto un classico della riflessione politica occidentale contemporanea. «È un libro che col suo linguaggio poetico ed elegante mi ha affascinato per anni. Più che un saggio è una sorta di romanzo la cui protagonista è una donna, l’America. Ed è pieno di emozioni». Mentre in Europa la democrazia è cresciuta specchiandosi nell’esperienza di Atene, «l’eccezionalismo americano ha radici religiose: i Puritani applicarono i durissimi principi del Vecchio Testamento per costruire il nuovo Stato. Si sentirono legittimati a massacrare la popolazione indigena perché quello era il volere del loro Dio. Questa oscurità — questo “cuore di tenebra” — è un aspetto ancora molto forte dell’America di oggi».
Secondo Castellucci, il Puritanesimo spiega «alcuni aspetti importanti della vita americana come la resistenza al sostegno sociale o l’esportazione Danza Una scena di «La democrazia in America», nuova regia di Romeo Castellucci di un preciso modello culturale di libertà. Ancora oggi gli Usa sono l’unica società occidentale in cui il presidente giura sulla Bibbia». Mentre in Europa le democrazie si sono liberate di Dio e della Chiesa — basti pensare alla Rivoluzione Francese — «in America è accaduto il contrario. In ogni caso — osserva il regista — tutto questo “risuona” sullo sfondo ma non è l’oggetto del mio lavoro».
Castellucci considera l’opera del filosofo francese non tanto una riflessione sulla politica quanto sulla sua fine: «Tocqueville è stato uno dei primi a guardare da un’angolatura diversa la parola democrazia, uno dei primi a sospettare che potesse essere una maschera del potere, quella che lui chiama la “tirannia della maggioranza”. Scopre che in America solo le persone ricche possono creare opinione pubblica sui giornali, e che ciò rappresenta uno dei principali limiti della democrazia». Tuttavia, conclude il regista, «il mio non è uno spettacolo di condanna, sarebbe troppo facile». Su una cosa Castellucci dissente da Tocqueville: «Pensava che la letteratura, la filosofia, la pittura, l’arte non avrebbero mai potuto nascere in America: Walt Whitman e Herman Melville dimostrano il contrario. Artisti nelle cui opere viene analizzato quello che la democrazia americana rifiuta: il suo lato oscuro. Quel “cuore di tenebra” che Tocqueville, in modo profetico, è riuscito a intuire, e le cui conseguenze vediamo ancora oggi».
Sulla forma scenica solo poche parole: «Saranno sei protagoniste, tutte donne. Mi piace lavorare con compagnie “monosessuali”, hanno un’interessante forma di energia».
Nessuna allusione a Trump, ho messo a fuoco le radici religiose degli Stati Uniti, l’unica società occidentale in cui il presidente giura sulla Bibbia