Corriere della Sera

Paolo Ghia

- Antonella Sparvoli

Direttore programma di ricerca strategica sulla leucemia linfatica cronica Ospedale San Raffaele, Milano a leucemia linfatica cronica è una delle forme più comuni di leucemia negli adulti: rende conto di circa il 30 per cento dei casi. Di solito la diagnosi viene fatta intorno ai 70 anni e solo in circa un terzo dei casi sotto i 55 anni. Si tratta dunque soprattutt­o di una malattia degli anziani, che nella maggior parte dei casi permette una sopravvive­nza di molti anni dalla diagnosi.

In che cosa consiste questa forma di leucemia?

«Come suggerisce il nome (cronica), si tratta di una forma di leucemia lenta nella sua evoluzione, caratteriz­zata dall’accumulo di piccoli linfociti B maturi (un tipo particolar­e di globuli bianchi) nel sangue periferico, nel midollo osseo e negli organi linfoidi periferici (linfonodi e milza). All’inizio questo evento non si riflette sull’organismo con sintomi eclatanti, ma con il passare del tempo, in alcuni pazienti, l’eccessivo accumulo di linfociti anomali può ridurre la capacità del midollo osseo di produrre i globuli rossi e le piastrine, con diverse conseguenz­e», spiega il professor Paolo Ghia, direttore del Programma di ricerca strategica sulla leucemia linfatica cronica dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

Quali sono i sintomi che devono far sospettare la malattia?

«All’inizio non dà particolar­i sintomi e spesso viene scoperta casualment­e in occasione di controlli fatti per altre ragioni. In un terzo dei pazienti, non darà segni di sé neanche con il passare del tempo, mentre negli altri potranno comparire alcuni segni. I più tipici sono: ingrandime­nto dei linfonodi e/o aumento dei linfociti nel sangue; ingrandime­nto della milza; anemia con conseguent­e stanchezza, debolezza e respiro affannoso; riduzione dei livelli di piastrine (che favorisce la formazione di lividi o piccole emorragie) e maggiore suscettibi­lità alle infezioni. Man mano che la malattia progredisc­e, possono comparire altri segni caratteris­tici come dimagrimen­to inspiegato, sudorazion­i notturne e febbricola, soprattutt­o serale».

Come si può curare?

«Negli ultimi anni le strategie terapeutic­he sono molto cambiate, grazie all’introduzio­ne degli anticorpi monoclonal­i prima e delle target therapy (terapie bersaglio) più di recente. A differenza di tutte le altre leucemie, in genere il momento della diagnosi non coincide con l’inizio delle cure e si adotta una strategia di sorveglian­za attiva, con controlli periodici. Il paziente inizia una terapia quando le analisi del sangue mostrano una brusca diminuzion­e dell’emoglobina o delle piastrine oppure quando i linfonodi sono cresciuti molto fino a comprimere organi o vene. Questi sintomi si possono associare a un aumento dei linfociti nel sangue che, però, a differenza di altre leucemie, non è di per sé motivo per avviare una terapia, indipenden­temente dal valore rilevato. Il trattament­o di scelta nella maggior parte dei casi abbina farmaci chemiotera­pici ad anticorpi monoclonal­i. Questo approccio, però, non è efficace in circa il 10 per cento dei casi, soprattutt­o in coloro che presentano alcune anomalie a carico del gene TP53. Per questi sono da poco disponibil­i le nuove terapie bersaglio, alcune delle quali permettono di ottenere risposte molto efficaci, tanto che si parla di assenza di malattia minima residua, che non vuol dire eradicazio­ne della malattia, ma che troviamo meno di una cellula leucemica ogni 10 mila leucociti. Questo evento è molto positivo perché si associa a ricadute che avvengono su tempi più lunghi».

In fase iniziale la leucemia linfatica cronica non dà particolar­i disturbi. Con il passare del tempo, alcuni pazienti possono avere qualche manifestaz­ione. Le principali sono

nel che può causare sazietà precoce e/o sensazione di pienezza addominale causata dai bassi livelli di globuli rossi, che a sua volta può provocare e dei livelli di con possibile formazione di lividi o sanguiname­nto di contrarre a causa della carenza di globuli bianchi sani e dell’indebolime­nto del sistema immunitari­o

e/o

Altri sintomi

che possono essere presenti quando la malattia è in stadio avanzato, sono Al momento della diagnosi iniziale la maggior parte dei pazienti non ha sintomi e presenta solo un modesto aumento dei linfociti o piccoli linfonodi, per cui non si ricorre ad alcun trattament­o, ma si adotta una strategia di con controlli ambulatori­ali periodici

Quando i pazienti presentano sintomi, alla diagnosi o ai successivi controlli occorre iniziare un trattament­o farmacolog­ico con I farmaci utilizzati in associazio­ne o meno a dipendono principalm­ente dall’età e dalla situazione generale del singolo paziente soprattutt­o alla sera

In una piccola quota di pazienti che presentano alcune anomalie a carico del gene TP53, la chemioimmu­noterapia non è efficace e deve essere evitata. In questi casi sono disponibil­i le nuove somministr­ate per bocca e in grado di ottenere risposte profonde in gran parte dei casi. Questi farmaci possono essere usati anche in seconda battuta in tutti i pazienti, quando la malattia si ripresenta

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy