Corriere della Sera

L’uomo che prese Bologna la rossa

- Di Aldo Cazzullo

Giorgio Guazzaloca non è stato solo il primo sindaco non comunista di Bologna. È stato quasi l’ultimo bolognese.

Nessuno come lui incarnava quel misto di bonomìa, scetticism­o, umanità che fa l’homo

bononiensi­s; e nessuno dopo di lui ci riuscirà.

Non era di destra. Detestava i fascisti da quando, bambino di 14 mesi, ne vide uno versare a terra per sfregio l’olio razionato, che la madre aveva preso dopo una lunga coda. Ma detestava anche la sinistra. Non ne sopportava l’alterigia intellettu­ale, né il sistema emiliano di potere. La sua idiosincra­sia si allargava ai cantautori bolognesi: «Avete creato mostri, per colpa di voi giornalist­i Guccini si crede Prévert, Dalla pensa di essere Mozart!»; e il bello è che loro lo adoravano, Guccini aveva giocato a carte con lui, Dalla lo sostenne nella battaglia persa con Cofferati. Sopportava Prodi, anche se lo definiva «grande esperto di piastrelle», per uno studio giovanile sul distretto della ceramica di Sassuolo. Provava affetto per Casini, era stato amico del padre, e quando ne temeva una virata a sinistra lo rampognava: «Non puoi fare questo a tuo papà!», che era morto da anni.

La campagna elettorale del 1999 fu un capolavoro. Chiese a Berlusconi di mandargli i poster di Forza Italia a casa; e li chiuse nello sgabuzzino. Propose ai bolognesi null’altro che la propria storia, il proprio volto. Capì che avrebbe vinto quando un esimio professore dell’Alma Mater sentenziò che non si poteva eleggere un sindaco con la licenza media: «Se è per questo non ho neanche la licenza elementare, a undici anni ero già in bottega. Ma Dozza e Zangheri non avrebbero mai detto una cosa del genere». Il giorno dopo fu sommerso dall’abbraccio di artigiani e operai comunisti, che come lui non avevano potuto studiare. Finì che arrivarono le troupe delle tv giapponesi, per raccontare la caduta del muro di Bologna; e ovviamente lui, che interviste quasi non ne dava, non le ricevette.

Il suo vero grande amore era la sua città. Non se ne andava mai, neanche a Ferragosto. Al massimo qualche giorno in Versilia, una puntata a Rimini per il meeting di Cl. Quando nel ’77 gli autonomi minacciaro­no di metterla a ferro e a fuoco, fece distribuir­e panini al salame, a spese proprie, per ammansirli; e quando vedeva il commensale salutista scartare il grasso del prosciutto, lo rimprovera­va: «È il suo buono!». L’argomento preferito erano i vecchi bolognesi. Venerava come maestro tale professor Mora, veterinari­o, che considerav­a un incrocio tra Kant e Sartre. Raccontava per ore storie di macellai, categoria importante in una Bologna un tempo sanguigna e gaudente, dalle cui file erano usciti i Carracci sommi pittori e i Bentivogli­o signori della città. Da ragazzo contò settecento colleghi; e quando uno di loro confidò in lacrime che la moglie lo tradiva con un fruttivend­olo, fu processato ed espulso dall’albo con la crudele motivazion­e che «da tre secoli i macellai frequentan­o le mogli dei fruttivend­oli, e non era mai accaduto il contrario» (Giorgio stesso in gioventù doveva aver dato un vigoroso contributo alla fama della categoria, che gli era valso il soprannome di Copaoche. Lui si schermiva: «Sono un peccatore perbene»).

Si era fatto da sé. Si alzava alle tre del mattino, per far bollire l’acqua con cui scaldare le mani intirizzit­e prima di affrontare la cella frigorifer­a e il taglio delle carni. Aveva guidato il sindacato dei macellai, poi i commercian­ti, infine la Camera di commercio. «Non taglio una fettina da quarant’anni» diceva con orgoglio e rimpianto. «Però saprei ancora farlo». Continuava ad alzarsi prima dell’alba; alle sei aveva già letto tutti i giornali, di cui era censore severo e affezionat­o, fin da quando la madre gli portava le riviste sgualcite dalle case dove andava a servizio; in particolar­e seguiva il Carlino (era legato allo storico direttore Mazzuca, che chiamava il Cagnone) e il Corriere. Citava di continuo Montanelli e il cardinale Biffi; di entrambi divenne amico.

Era un uomo felice, nonostante la sorte si fosse accanita su di lui. Il male si manifestò appena realizzato il sogno di diventare sindaco. Lo affrontò con coraggio. Il suo vero dolore

fu l’inchiesta sul tram Civis: l’idea che qualcuno potesse credere che si fosse arricchito alle spalle della sua città lo faceva impazzire (ovviamente per lui il gip dispose l’archiviazi­one). La battaglia contro il mieloma, diceva, non era niente rispetto alla morte improvvisa della moglie Maurizia, che lo lasciò con due figlie piccole da crescere. Era orgoglioso e preoccupat­o per i successi profession­ali di Grazia — «proprio a New York doveva finire?» — e per quelli accademici di Giulia: sarebbe mica diventata pure lei un’altezzosa intellettu­ale di sinistra? E comunque la casa di via D’Azeglio, la stessa strada di Dalla, era piena di libri, a cominciare dalle vecchie edizioni di Hemingway e Steinbeck comprate con i primi risparmi.

Dopo di lui, non c’è più stato un sindaco davvero bolognese; e non solo perché Cofferati è di Cremona, Delbono di Mantova, Merola di Santa Maria Capua Vetere. La città è diventata un’altra, lui stesso faticava a riconoscer­la; non trovava più le tagliatell­e di un tempo, e si faceva da sé il ragù in casa; alla pasta provvedeva la nuova moglie, Egle, mai vista senza sorriso. E si potrebbe continuare a lungo con altri dettagli, senza restituire appieno al lettore quale persona adorabile fosse Giorgio Guazzaloca.

L’amore per la città Non la lasciava mai, neanche a Ferragosto Le citazioni e l’amicizia con Indro Montanelli

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 ??  ?? 1999 Giorgio Guazzaloca festeggia la vittoria: primo sindaco di Bologna di centrodest­ra, è stato eletto a capo di una lista civica sostenuta da Berlusconi (Foto Benvenuti)
1999 Giorgio Guazzaloca festeggia la vittoria: primo sindaco di Bologna di centrodest­ra, è stato eletto a capo di una lista civica sostenuta da Berlusconi (Foto Benvenuti)
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2003 Alla commemoraz­ione della strage di Bologna
 ??  ?? 2002 Sul luogo dell’omicidio del professor Marco Biagi
2002 Sul luogo dell’omicidio del professor Marco Biagi
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2004 Gli succede Sergio Cofferati (con lui nella foto)

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