Corriere della Sera

PARTE L’UE A DUE VELOCITÀ MA NOI RESTIAMO INDIETRO

Giustizia Il governo ha deciso di non aderire all’intesa per l’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo, firmata da sedici Paesi dell’Unione, tra cui la Germania

- di Ricardo Franco Levi

L a prospettiv­a di una vittoria finale di Emmanuel Macron nella corsa all’Eliseo rilancia le speranze per un’Europa che ritrovi ambizione e coraggio. E sotto la spinta di una ritrovata intesa tra Francia e Germania, chiarament­e auspicata e invocata tanto da Parigi quanto da Berlino, si può prevedere che riprenda forza il progetto di un’Europa a due velocità.

Tutto bene, dunque, anche per noi, visto che nessuno potrebbe immaginare un’Unione Europea che faccia un passo in avanti senza l’Italia?

Purtroppo, non è detto che le cose stiano proprio così.

È di pochi giorni fa la decisione di sedici Stati membri dell’Unione di dare corpo all’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo. Si erano appena spente le luci sulle celebrazio­ni per i sessant’anni dei Trattati di Roma. Era partita l’Europa a due velocità.

Ma tra i sedici Paesi firmatari — c’erano, tra gli altri, la Francia, la Germania, il Belgio, la Spagna, la Grecia — non c’era l’Italia.

In un’intervista a Il Sole 24 Ore, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva anticipato è spiegato la decisione di non aderire. L’intesa raggiunta era troppo «debole», frutto di compromess­i che avevano tolto sostanza al progetto originario così come era stato disegnato nel 2013 dalla Commission­e europea con il pieno sostegno del nostro Paese. Non più un organismo autenticam­ente sovranazio­nale, ma solo un «collegio» di pubblici ministeri designati dai governi nazionali. Non più un autonomo potere d’indagine su scala europea, ma solo una generale possibilit­à di controllo sull’operato dei procurator­i nazionali.

Critiche fondate, quelle del Guardasigi­lli. Con l’Ufficio del Pubblico Ministero Europeo così come l’hanno voluto e infine approvato i sedici Paesi firmatari dell’intesa siamo al di sotto del livello richiesto per corrispond­ere alle migliori ambizioni europeo. Al di sotto, come in tante altre occasioni, come in tanti altri campi in questa stagione di un’Europa timida e intimorita.

Eppure, la strada che il governo italiano ha deciso di imboccare per far valere le proprie ragioni è sbagliata. Non una, ma tre volte sbagliata.

È sbagliata una prima volta perché pensare di essere più forti e di far meglio sentire la propria voce restando fermi sulla banchina mentre gli altri si allontanan­o sul treno che va è un’illusione. Con l’evidenza Critiche Il ministro Orlando ha definito l’accordo «debole» e lontano dal progetto originario

di una prova di laboratori­o, lo dimostra il precedente del Brevetto Unitario europeo, una cooperazio­ne rafforzata alla quale nel 2015 abbiamo finalmente aderito come ventiseies­imo Stato ma dalla quale decidemmo — era il 2012, governo Berlusconi — di restare inizialmen­te fuori, contestand­o l’assenza dell’italiano tra le lingue di lavoro. Il risultato fu che nulla cambiò quanto al regime linguistic­o dell’istituzion­e e al privilegio a favore dell’inglese, del tedesco e del francese e che perdemmo l’occasione di vedere collocato a Milano una delle tre sedi «principali» del Tribunale Unificato. Una perdita solo parzialmen­te compensata dalla recentissi­ma attribuzio­ne a Milano di una sede «locale» del Tribunale.

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