Corriere della Sera

In un libro di Giacomo Pellizzari (Utet) gli eroi della gara ciclistica che tocca adesso la centesima edizione Aristotele in fuga sullo Stelvio

Nei luoghi sacri del Giro d’Italia soffia quello che il filosofo chiamava «spirito vitale»

- Di Aldo Grasso

Al Giro d’Italia, il più grande e lungo racconto popolare che il nostro Paese si tramanda di anno in anno, mancava un libro che ne celebrasse i luoghi dell’anima. Cosa sono i luoghi dell’anima? In letteratur­a sono ciò che Aristotele chiamava lo «spirito vitale», il vento che soffia su un luogo e lo rende unico per fascino, risonanza, incanto. Molti libri costituisc­ono una sorta di geografia morale tracciata da un cartografo dell’anima: la Verona di Romeo, l’addio ai monti di Lucia, la Langa di Beppe Fenoglio…

Storia e geografia del Giro d’Italia di Giacomo Pellizzari (Utet) ripercorre molte «tappe» di una lunga epopea (iniziata il 13 maggio del 1909, in piazzale Loreto a Milano alle 2,53 del mattino), attraverso alcuni «santuari» del Giro: Milano, l’Abetone, la Maddalena, il Gran Sasso, le Tre cime di Lavaredo, il Pordoi, il Bondone, lo Stelvio, il Mortirolo, il Gavia… Pellizzari ha ricostruit­o un suo immaginari­o Giro in 21 tappe: ogni luogo conserva un patrimonio di vittorie, di cadute, di fatiche sovrumane, di inseguimen­ti, di sconfitte, di imprese che si rincorrono nel tempo e nello spazio.

Il ciclismo, il Giro d’Italia in particolar­e, è una delle grandi feste che i media sanno ancora regalarci: l’appuntamen­to quotidiano, la fuga, l’arrivo di tappa, la volata… Il ciclismo è un grande racconto popolare seriale. Non a caso, le maglie, gli sponsor, i collegamen­ti, le tattiche, i discorsi, le volate sono frammenti di un lungo racconto che scorre su due ruote. Il Giro è una straordina­ria macchina narrativa capace di mettere in relazione piani diversi, gesti atletici e cultura, strategie e storia, astuzie e tradizione.

Pellizzari è un grande appassiona­to di ciclismo (è stato anche direttore editoriale di «Bike Channel», la bibbia televisiva dei cicloamato­ri), nutre per il Giro tanto amore e, soprattutt­o, un rispetto reverenzia­le, come se in ogni colpo di pedale risuonasse l’atmosfera di Diavolo rosso di Paolo Conte (la più bella canzone dedicata al ciclismo).

Mi ha molto impression­ato il capitolo dedicato al Mortirolo: «Senza il Giro d’Italia, questa salita probabilme­nte non l’avrebbe mai presa in consideraz­ione nessuno. Perché, diciamoci la verità, di bello qui in cima, non c’è proprio niente. Che ci sali a fare? Non è certo lo Stelvio oppure il Pordoi, salite dai paesaggi maestosi che si aprono sulle creste alpine a perdifiato… E pensare che non lontano da qui c’è il famoso Gavia, un passo incantato sospeso a 2652 metri di quota con cime meraviglio­se, laghi ghiacciati e paesaggi lunari. Il Giro d’Italia ha imparato a conoscerlo bene. E che dire del cugino Stelvio, qui dietro l’angolo? Neve e ghiaccio perenni, la famosa scuola di sci estivo Livrio e magari, ciliegina sulla torta, qualche stambecco ai bordi della strada. Il Mortirolo al cospetto di questi due mostri sacri, è

Sul Mortirolo, a quota 1.854 metri, nacque il mito sportivo di Marco Pantani quando il 5 giugno 1994 salutò tutti e andò in fuga nell’ultima parte della salita

il fratello storpio, il brutto anatroccol­o. Basso, spigoloso, infinitame­nte più antipatico».

Eppure sul Mortirolo (quota 1854) è nato il mito di Marco Pantani, quando il 5 giugno 1994 salutò tutti e andò in fuga nell’ultima parte della salita, passando in vetta con 10 minuti su Nelson Rodriguez, primo degli inseguitor­i. Miguel Indurain lo raggiunse in discesa, ma sulla pendenza di Santa Cristina il Pirata cambiò marcia e sigillò la vittoria. Tagliò il traguardo con 2’52’’ su Claudio Chiappucci e ben 3’30’’ su Indurain.

Ma, alle pendici delle grandi montagne (Madonna di Campiglio, 5 giugno 1999; ancora il 5 giugno!), inizia anche la tragedia del «Pirata». Tonale, Gavia, Mortirolo: dovevano essere le vette del trionfo, della leggendari­a consacrazi­one. Su quelle salite, il Pirata avrebbe staccato ancora gli avversari, con uno scatto irresistib­ile, con la sovranità del più forte. E invece quel giorno fu scelto come vittima sacrifical­e (la storia dei Tour de France vinti da Lance Armstrong, con la connivenza anche di organismi ufficiali, la dice lunga sulla gestione del doping nel ciclismo).

Sono ben 41 i gran premi della montagna previsti sul percorso del Giro d’Italia 2017 (nel ciclismo l’ascesa è ascesi). Si va dai 98 metri sul livello del mare di Capo Boi nella terza ed ultima tappa in Sardegna, ai 2.758 metri del Passo dello Stelvio, che sarà la favolosa Cima Coppi dell’edizione numero Cento della corsa rosa. Peccato non ci sia più l’amato Michele Scarponi.

Lo Stelvio. Scrive Pellizzari: «1° giugno 1953. Fausto Coppi, come da copione, ha appena staccato tutti; del resto, il suo ritardo dal leader della corsa, lo svizzero Hugo Koblet, gli impone di fare così. Se vuole ancora sperare di vincere questo Giro d’Italia, il trentaseie­simo, deve tentare il tutto per tutto. E deve farlo oggi, qui sullo Stelvio, salita adatta alle sue caratteris­tiche come nessun’altra. Gambe lunghe, affusolate, magrissime, quelle di Fausto. Sembrano le protuberan­ze metalliche di una ruspa più che gli arti di un corpo umano, ideali per spingere rapporti duri su strade infinite come questa. È il primo anno che il passo dello Stelvio viene inserito nel Giro d’Italia, e sarà quindi un battesimo di fuoco per tutti. Ciclisti, mezzi della pubblicità, ma soprattutt­o per l’organizzaz­ione, che, se va storto qualcosa, sarà spacciata».

Ogni capitolo è un tuffo nel passato, è un succedersi di ricordi, emozioni, di pedalate che compongono l’armonia del ciclismo. Da tempo, il Giro è diventato un’istituzion­e e nelle sue tappe si rispecchia l’evoluzione sociale ed economica del Paese. Senza abusare delle trite metafore, la più bella corsa a tappe è un «amore infinito», un «luogo della memoria», una sorta di grande album di famiglia su cui si fonda la nostra identità, una storia «minore», piena di nostalgie, aneddoti ed entusiasmi, capace però di integrare quella «maggiore».

Fra poco, il 5 maggio, partirà il Giro d’Italia numero Cento, la leggenda continua. Per questo, come ha scritto Fabio Genovesi, nel Giro «ci sono ancora mille traguardi in fondo a mille percorsi incasinati, mille strade storte, mille terre tutte nuove che aspettano solo di essere tagliate in due da ruote che girano e cuori che battono forte».

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