Corriere della Sera

LE PAROLE E LA LIBERTÀ

INSULTI ONLINE E STEREOTIPI: COSÌ L’ODIO TRASFORMA I DISCORSI IN ARMI MORTALI L’appuntamen­to A Milano la seconda edizione del Festival dei Diritti Umani. Che mette l’accento sul potere (anche distruttiv­o) del linguaggio. E gli studiosi sono convinti che p

- di Stefano Landi

Li chiamano discorsi dell’odio. Sono quelli che rispondono a una logica ormai molto abituale in Rete: non sai cosa dire, ma sai come dirlo nel modo più pericoloso per colpire le fasce culturalme­nte più vulnerabil­i. Il Festival dei Diritti Umani non poteva che accendere una lampadina su un fenomeno ormai mondiale che da diverse prospettiv­e sta facendo male alle nuove generazion­i.

Il 4 maggio si parlerà di come combattere gli stereotipi e quindi spegnere sul nascere i potenziali rischi che gli «hate speech» seminano a mezzo Internet. Verranno proiettati film come #MyEscape di Elke Sasse e Nuovo Alfabeto Umano di Alessandro Mian e Alessandro Cattaneo davanti a una platea di studenti. Quindi di giovani. Quindi i destinatar­i innocenti che sempre più spesso abboccano alle trappole di linguaggio. «Questo fenomeno è figlio dello smarriment­o di chi per reagire alle paure della crisi non ha i mezzi ma ha comunque accesso al sistema di comunicazi­one» spiega Karim Metref, educatore e ospite dell’incontro sugli hate speech.

Metref è nato in Algeria nel 1967. Ha fatto l’insegnante in pedagogie alternativ­e e da giornalist­a si è specializz­ato in notizie e commenti sull’immigrazio­ne. Un tema in cui l’odio in rete sfocia spesso in «fake news». «In questo mondo, gli hate speech sono uno sport nazionale più diffuso del calcio: l’esempio più classico è la montatura mediatica scatenata sui siti e social di tutto il mondo per raccontare come la causa dell’incremento delle aggression­i sessuali sia esclusivam­ente la nuova ondata migratoria». Non esistono numeri né statistich­e in tal senso, «ma questo è il trend informativ­o percepito dalla gente — spiega Metref —. Fa parte della logica di sparare sempre sul più debole. E in questo sono correspons­abili anche le fonti di informazio­ni generalist­e principali che avvallano queste strategie del terrore. Le bufale spesso partono proprio da lì. E sono proprio i giornali mainstream a dover tornare a mettere dei paletti che possano regolare anche l’informazio­ne che viaggia sparsa nella Rete».

Il problema, verrebbe da dire, torna al tema dell’educazione. Una nuova ondata di analfabeti­smo. In forma diversa: si sa scrivere attraverso un computer, ma si fatica a capire quello che si legge. «Non credo che seguire l’esempio tedesco di affrontare questo tema emanando nuove leggi porti benefici» spiega Alessandro Lanni giornalist­a, ex caporedatt­ore delle riviste Reset e Pagina99, che oggi collabora con l’Associazio­ne Carta di Roma, per la quale scrive di rifugiati e immigrazio­ne. «Credo che gli hate speech siano una tappa nel nuovo percorso di alfabetizz­azione che passa dalle nuove forme di comunicazi­one. E non credo nemmeno che il rischio riguardi solo i più giovani, ma chiunque abbia poca lucidità in questo nuovo genere di relazioni» spiega Lanni che interverrà al Festival. Nasconders­i dietro a un velo, che il più delle volte però ha lo spessore di un muro per far perdere le tracce di chi si muove in modo anonimo in Rete. «Sono riconoscib­ili o comunque rintraccia­bili attraverso i loro indirizzi ip. Ma dobbiamo ripartire dal problema di base che è la loro immaturità complessiv­a. I giovani che attraversa­no un periodo particolar­e della loro vita e mostrano queste reazioni aggressive hanno spesso lo stes- so approccio anche offline».

Difficile immaginars­i gli scenari. Da una parte la sempre maggiore diffusione dei social network ha ampliato l’eco dell’odio informativ­o. «Mi preoccupa che Facebook ad esempio sia diventato un mezzo così fondamenta­le anche nel mondo dell’informazio­ne — continua Lanni —. Un sistema che procede per algoritmi e mostra solo una faccia delle notizie. Ma sono fiducioso sull’utilizzo che ne si fa: se saremo in grado di creare una consapevol­ezza massiccia anche grazie agli organi di informazio­ne ufficiali, questo resterà solo un periodo storico. Un periodo di trasformaz­ione con cui bisogna imparare ad avere a che fare. Ricordo che 25 anni fa si facevano discorsi simili sui rischi generati dalle nuove tv commercial­i».

Il pericolo maggiore? «Credo — conclude il giornalist­a — che la stessa politica e i partiti che usano i propri social in modo populista e spregiudic­ato per ottenere consenso siano comunque più pericolosi dei ragazzini che cercano like attraverso un cattivo messaggio».

Un esempio classico sono le montature sulle ondate migratorie Karim Metref

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Confusione La prima giornata vedrà la proiezione di «Clash» dell’egiziano Mohammed Diab,

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