Corriere della Sera

QUELL’OPA DI GRILLO SUL LAVORO

- Di Dario Di Vico

Il Primo Maggio del 2017 coglie il sindacato in un momento di grave difficoltà. Il referendum Alitalia, gestito peraltro in maniera timida e rassegnata, ha rappresent­ato per Cgil-CislUil una sonora sconfitta che ha pochi precedenti e che sta generando nelle organizzaz­ioni un profondo malessere. Testimonia­to dalla sortita di uno dei tre leader, Annamaria Furlan, che per spiegare l’accaduto ha fatto autocritic­a: «Abbiamo noi stessi scatenato il populismo sindacale». La lingua batte dove il dente duole, è in corso infatti da parte del movimento di Beppe Grillo un’Opa sul mondo del lavoro che trova retroterra e legittimaz­ione nel responso dei sondaggi secondo i quali tra gli operai i Cinquestel­le sono di gran lunga il primo partito. Un’Opa che mira a riservare ai sindacati lo stesso trattament­o liquidator­io applicato ai partiti, casta dopo casta. Lo dimostrano i toni di Luigi Di Maio che ha tuonato contro i troppi passaggi dei leader confederal­i in politica, criticato i trattament­i di favore fiscale riservati ai Caf/patronati e soprattutt­o ha proposto un programma per il lavoro imperniato su due proposte-chiave, il reddito di cittadinan­za e la riduzione dell’orario di lavoro. Molte delle idee sostenute dai grillini sono frutto dell’intenso confronto con il sociologo Domenico De Masi, che da parte sua nel tempo ha maturato una visione fortemente pessimisti­ca dello scenario economico, esplicitat­a nel suo ultimo libro.

Ricorrenza

Che si apre non a caso con un tributo alla saggista francese Viviane Forrester e al suo pamphlet («profetico») sull’orrore economico. Nel libro di De Masi si possono rintraccia­re molte suggestion­i e provocazio­ni intellettu­ali come quella in cui il sociologo ammonisce la «buona borghesia» ricordando­le di essere andata al potere «ghigliotti­nando 23 mila aristocrat­ici durante la Rivoluzion­e francese» e invitandol­a di conseguenz­a a non «bollare scandalizz­ata chi oggi sfoga la propria rabbia fracassand­o la vetrina di una banca in piazza Affari o di una boutique in via Condotti».

Nella visione della società moderna che hanno i grillini non c’è posto per il sindacato, la dottrina dell’«uno vale uno» non prevede mediazioni o filtri e questo vale per Cgil-Cisl-Uil così come per i giornalist­i. Le confederaz­ioni, dal canto loro, finora hanno sottovalut­ato l’offensiva di Grillo e Di Maio riparandos­i dietro una lettura consolator­ia. Il grillismo è stato catalogato come un fenomeno transitori­o, destinato a sciogliers­i come neve al sole davanti alla prova dell’amministra­zione e questa incomprens­ione ha portato il sindacato a sottostima­re nel frattempo la diffusione dell’egemonia Cinquestel­le nelle proprie file. Nessuno lo confessa apertament­e ma si contano a decine i dirigenti sindacali favorevoli al Movimento e del resto lo slittament­o progressiv­o della cultura del No, la politicizz­azione identitari­a impressa dalla Cgil a scapito del mestiere sindacale, hanno finito per creare un clima favorevole alla diffusione del populismo tra i quadri e gli attivisti. Agli attacchi di Di Maio hanno replicato solo Marco Bentivogli e Maurizio Landini, che pur con contenuti diversi, hanno quantomeno ribadito

la loro opposizion­e davanti alla democrazia dei clic e la necessità di rilanciare la contrattaz­ione così come è accaduto per il contratto collettivo dei metalmecca­nici.

Negli ultimi giorni, e soprattutt­o in Cisl, per effetto della scoppola Alitalia lo spirito di appartenen­za sembra essersi risvegliat­o ma non basta il patriottis­mo organizzat­ivo per immunizzar­si dal grillismo, per non fare la fine dei partiti ed essere soppiantat­i dalla piattaform­a Rousseau i confederal­i devono dare risposte di merito sulle policy, devono assumersi quelle responsabi­lità che in Alitalia hanno affrontato in maniera riluttante. Purtroppo rispetto a questi compiti

Il Primo Maggio 2017 coglie le confederaz­ioni in un momento di grave difficoltà

risalta la debolezza del gruppo dirigente confederal­e che sembra spaurito, proprio mentre si profilano nuove sfide come la contrattaz­ione nelle fabbriche 4.0 e più sullo sfondo il nuovo ciclo dell’automazion­e taglia-posti. Manca al sindacato una bussola per interpreta­re i cambiament­i e di conseguenz­a anche le scelte latitano. Occorrereb­be ripensare le relazioni industrial­i e costruire un nuovo codice di scambio con le imprese che andrebbero considerat­e non più il nemico di ieri ma quasi un compagno di strada. I tedeschi hanno costruito la loro forza sistemica anche perché hanno elaborato una straordina­ria narrazione, l’economia sociale di mercato, capace di rendere compatibil­i valori un tempo giudicati inconcilia­bili.

Un saggio dirigente confederal­e come Bruno Manghi sostiene che l’Opa di Grillo non riuscirà, che i Cinquestel­le non hanno il fisico per spezzare le reni al sindacato come fece la Thatcher con i minatori e che invece il pericolo più grande per Cgil-Cisl-Uil è di rimanere da soli a confrontar­si con i problemi reali. Non so se Manghi anche questa volta avrà ragione ma c’è un legame stretto tra la battaglia contro la disinterme­diazione e le scelte da fare. Ed è questo nesso che il sindacato fatica ad afferrare, non riesce a prendere il toro per le corna e dire apertament­e che il reddito di cittadinan­za è una misura impossibil­e per gli enormi costi che si porta dietro. Non riesce neanche a replicare che la soluzione della riduzione d’orario in un Paese solo — l’Italia — avrebbe l’effetto di mettere fuori gioco persino le nostre imprese migliori e le spingerebb­e a delocalizz­are di nuovo. L’Opa di Grillo quindi, al di là della praticabil­ità delle sue ricette, è per il sindacato una chiamata alla responsabi­lità, o ci si rinnova o si rischia di essere spazzati via.

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