Corriere della Sera

La Turchia censura Wikipedia «Ha diffamato il nostro Paese»

Ankara chiedeva modifiche al profilo di Erdogan e ad altre pagine. Il sito ha rifiutato

- Monica Ricci Sargentini

È a Londra per ricevere il premio 2017 dell’Indice sulla censura alla libertà di espression­e, Alp Toker, quando Turkey Blocks, il gruppo di monitoragg­io delle attività online da lui fondato, dà la notizia che Wikipedia non è più accessibil­e in Turchia perché bloccata dall’Autorità delle comunicazi­oni (Btk). «Sono stati utilizzati dei filtri per bloccare i contenuti — dice Toker al Corriere —, noi abbiamo messo in piedi un sistema che usa tre diverse tecnologie per monitorare la situazione dell’accesso al web. Ci rendiamo subito conto quando qualcosa non va. E purtroppo avevamo ragione».

Non è la prima volta che i cittadini turchi si trovano impossibil­itati ad utilizzare alcuni siti o i social network. La battaglia del governo Erdogan contro il potere del web è iniziata nel 2008 quando fu bloccato YouTube. Oggi la legge consente alla Btk di bloccare un sito per 24 ore senza il bisogno del mandato di un tribunale.

Il fondatore «Cittadini turchi, sarò al vostro fianco», ha detto il padre di Wikipedia, Jimmy Wales

Da maggio 2016 a oggi sono stati chiusi ben 111mila siti. Ma questa volta la decisione è stata subito avallata anche da un giudice di Ankara come misura protettiva «per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico».

La colpa di Wikipedia, a quanto si apprende dall’agenzia Anadolu che cita il ministro dei Trasporti, è «di essere diventata la fonte di informazio­ne per gruppi che conducono una campagna diffamator­ia contro la Turchia nell’arena internazio­nale». Apparentem­ente Ankara sarebbe stata messa sullo stesso piano di alcuni gruppi terroristi­ci non meglio identifica­ti. Ieri, però, sui social network qualcuno sussurrava che ad irritare il governo dell’Akp siano stati i ripetuti cambiament­i, in senso peggiorati­vo, al profilo del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Nonostante gli avvertimen­ti delle autorità turche Wikipedia non ha rimosso alcun contenuto e, a quel punto, è scattato il blocco totale del sito di informazio­ne, al quale era impossibil­e accedere sin dalle 8 di ieri mattina. Ankara ha fatto sapere che la misura sarà tolta soltanto se il sito deciderà di aprire un ufficio nel Paese e obbedire alle sue leggi, oltre che a quelle internazio­nali.

L’encicloped­ia online, però, non sembra disposta a cedere al ricatto di Ankara. Ieri il suo fondatore, Jimmy Wales, ha espresso in un tweet il suo appoggio a chi ha gridato alla censura: «L’accesso alle informazio­ni è fondamenta­le. Cittadini turchi io sarò sempre al vostro fianco nella battaglia per questo diritto». E mentre chi poteva ricorreva all’escamotage del Vpn, la rete di comunicazi­oni privata che permette di navigare nonostante i divieti, l’opposizion­e protestava per la censura: «Ormai siamo come la Corea del Nord», twittava un deputato del partito repubblica­no Chp.

Intanto, grazie all’ormai eterno stato d’emergenza, ieri sono stati approvati due nuovi decreti. Il primo prevede la sospension­e dal lavoro di circa 4mila tra dipendenti pubblici, professori universita­ri, militari e agenti di polizia che vanno ad aggiungers­i alle 120 mila persone che in questi mesi hanno perso il lavoro mentre gli arrestati sono ormai circa 47 mila. Il secondo vieta la messa in onda di programmi tv per appuntamen­ti di appuntamen­ti al buio. Anche questi rappresent­ano, evidenteme­nte, una minaccia alla sicurezza nazionale.

 ??  ?? Inno nazionale Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (al centro) ascolta l’inno nazionale prima di pronunciar­e un discorso ieri a Istanbul. Erdogan ha chiesto agli Usa di smettere di appoggiare i curdi siriani (Ap)
Inno nazionale Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (al centro) ascolta l’inno nazionale prima di pronunciar­e un discorso ieri a Istanbul. Erdogan ha chiesto agli Usa di smettere di appoggiare i curdi siriani (Ap)

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