Corriere della Sera

Santa Zita e il diavolo a Lucca che disse di essere Napoleone L’episodio è in una biografia di un secolo precedente alla nascita dell’Imperatore Ora c’è chi cerca il suo fantasma nel palazzo

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ALucca, in questi giorni sono all’opera gli acchiappaf­antasmi profession­isti. Si danno da fare con strumenti elettronic­i ma anche con il sistema più semplice e antico: vegliando attorno al palazzo Ducale e sperando nell’incontro per il quale sono venuti. Vorrebbero risolvere finalmente un enigma che risale a date lontane e che non ha mancato di manifestar­si sino ad ora. Anzi, soprattutt­o ora. Nottetempo, cioè, all’interno e nelle vicinanze del palazzo — che fu sede governativ­a al tempo dei francesi — si aggirerebb­e un uomo «trasparent­e», come si addice ai fantasmi, di non alta statura, con un pastrano e un tricorno grigi: ma sì, nientemeno che l’Imperatore, Napoleone I.

Confesso che ho saputo ora di questa storia delle «apparizion­i» ma che — a costo di essere scambiato per un visionario — la cosa non mi ha sorpreso più di tanto. Approfonde­ndo la storia di Napoleone — all’ambizione personale del quale si deve la morte di un’intera generazion­e di giovani non solo francesi ma dell’intera Europa — mi incuriosiv­a la sua singolare attenzione per Lucca. Alla piccola città volle mantenere il ducato, elevato poi addirittur­a a principato, e investì del titolo e dell’amministra­zione la prediletta sorella Elisa della quale diceva: «È la più capace tra le mie sorelle e i miei fratelli, è quella che più mi somiglia». Su Lucca e il suo territorio indirizzò grandi somme per opere pubbliche delle quali, durante i lavori, si informava costanteme­nte. Eppure il luogo non aveva molte risorse economiche, se non quelle agricole, né aveva importanza strategica. Si sa che la famiglia dei Buonaparte (questo il nome originario) proviene dalla Toscana, pare da Sarzana, ora in territorio ligure ma un tempo toscano. In ogni caso, nessuno studioso ha mai fatto il nome di Lucca come una delle radici della famiglia del piccolo ufficiale di artiglieri­a che parlava male il francese — lingua ufficiale della Corsica era l’italiano — e che si autoprocla­mò imperatore. Dunque, l’attenzione privilegia­ta per Lucca, nella quale incappa spesso chi si dia a letture «napoleonic­he», sembra davvero inspiegabi­le.

Un giorno però, preparando un libro sul beato Francesco Faà di Bruno, volli approfondi­re la figura di Santa Zita da Lucca, vissuta dal 1218 al 1278 e mai mossasi dalla città toscana. Faà di Bruno, coetaneo e concittadi­no di don Bosco, dedicò la sua benemerita attività sociale all’assistenza di quelle che allora erano dette le «serve» e subivano spesso le angherie dei padroni. Il beato mise dunque la sua opera caritativa sotto il patrocino di Santa Zita che, per tutta la vita, fu domestica esemplare di una famiglia nobiliare lucchese. Il culto della Santa, fu tale (persino Dante ne fa il nome) da deporla dopo la morte in un ricco sepolcro nella basilica di San Frediano e da onorarla ancor oggi con una grande festa popolare il 27 di aprile.

Dicono le cronache che Zita, Il dipinto «Il miracolo di Santa Zita» è un olio su tela di Bernardino Strozzi che attualment­e fa parte di una collezione privata come molti santi, fu spesso tormentata da forze diaboliche che cercavano di distoglier­la dalla via della santità. Ebbene, leggendo una sua biografia stampata all’inizio del Settecento, mi sono imbattuto nella descrizion­e di una visione paurosa: un gruppo di demòni che, nottetempo, assediava il suo letto. Sicura delle protezione del rosario che portava al collo e della croce che teneva in mano, la santa si rivolse al

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