Corriere della Sera

Il nostro mondo in tre parole

- Di Beppe Severgnini

Il cinema sta rubando il mestiere ai giornalist­i, e fa bene. Ho visto tre film su temi d’attualità, e li consiglio. Uno americano, uno italiano, uno finlandese. Non sono capolavori — media del 7, diciamo (non so perché, ho in testa questo numero) — ma costituisc­ono un’efficace trilogia. Ad ognuno associo una parola; le tre parole, insieme, dipingono il paesaggio in cui viviamo.

DISTRAZION­E Il film americano si chiama «The Circle», ed è tratto da un romanzo di Dave Eggars. Racconta l’ingordigia dei giganti digitali; e la nostra arrendevol­ezza. La vicenda è quella di un super social network che controlla i dati, le immagini e le informazio­ni dell’intera popolazion­e. Con il consenso entusiasti­co di tutti. Gli iscritti si lasciano convincere che «ogni segreto è una bugia» e accettano, da principio, di condivider­e le loro vite. The Circle è un frullato di Huxley e Orwell, Facebook e Twitter, Instagram e Skype, in un ambiente alla Google, con semplicism­i alla Beppe Grillo e propositi stile Casaleggio Associati. Brrrr, che paura.

PASSIONE Il film italiano si chiama «Lasciati andare», regia di Francesco Amato. È la storia di uno psicanalis­ta sfiatato (in tutti i sensi), interpreta­to da Toni Servillo; una moglie intelligen­te (Carla Signoris, finalmente in un ruolo all’altezza); e una personal trainer svitata (la spagnola Verónica Echegui). Finisce un po’ in caciara — tentazione irresistib­ile della commedia romana — ma dimostra cosa può fare l’entusiasmo per il corpo e lo spirito di una persona di una certa età. A nome dei QUALI (Quasi Anziani Lieti e Irrequieti), ringrazio.

COMPASSION­E Il film finlandese si chiama «L’altra faccia della speranza». Il regista è Aki Kaurismaki. La storia racconta di Khaled, giovane siriano in fuga da Aleppo, sbarcato in Finlandia da un mercantile; e Vikström, imprendito­re imbolsito, giocatore e bevitore silenzioso, che decide di rifarsi una vita comprando un ristorante.

Perché funziona, il film? Perché racconta l’immigrazio­ne senza smancerie. Dimostra che chi arriva è un essere umano; non un numero, un nome o una faccia su un documento (falso, nel caso di Khaled). Forse di questo gli xenofobi hanno paura: di provare compassion­e, di vergognars­i delle cose che dicono.

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