Vito Acconci, addio al pioniere della body art
Anche la sua morte, venerdì a New York per un attacco cardiaco, potrebbe apparire come una provocazione, l’ennesima: perché Vito Acconci, scomparso a 77 anni (era nato nel Bronx il 24 gennaio 1940 da una famiglia italo-americana cattolicissima) è stato il grande anticipatore-pioniere-sperimentatore della performance come forma d’arte, quella stessa performance che intreccia poesia, teatro, danza, video e tutte le possibili forme di espressività (spesso riunite nel comune segno della provocazione) che troverà tra pochi giorni nuova gloria nella Biennale di Venezia.
«New York ha perso una leggenda, un pioniere»: questo il commento del Moma che nell’estate 2016 gli aveva dedicato la bellissima retrospettiva Where We Are Now (Who Are We Anyway). Vito (ma lui, «almeno fino al Silenzio degli Innocenti», diceva, preferiva essere chiamato con il suo secondo nome, Hannibal) aveva studiato prima alla Regis High School di Manhattan, scuola gesuita «per ragazzi di talento», poi all’Università della Iowa, celebre per i suoi programmi letterari di avanguardia. E proprio come poeta (sperimentale), Acconci aveva iniziato negli anni Sessanta il suo percorso artistico, passando poi (un decennio più tardi) all’immagine, preferendo il corpo alla parola «per mettere a nudo il malessere della società». La sua è stata una body art senza tanta retorica e senza tanto romanticismo, piuttosto un qualcosa di molto politico (erano gli anni della guerra del Vietnam). E, soprattutto, di estremamente provocatorio: da Fool (1969) a Three adaption studies (1970), da Room situation (1970) a Seedbed (1972), presentata alla galleria Ileana Sonnabend di New York, con l’artista nascosto sotto una pedana intento a masturbarsi davanti a un microfono e una telecamera (al pubblico, che ne avvertiva solo la presenza, «la possibilità di scelta, tra interagire spiandolo oppure allontanarsi»). Poi, negli anni Ottanta, Acconci abbandona gallerie e performance («L’arte è ormai diventata roba da ricchi») e fonda un think-tank d’arte e architettura «non ortodosse» votato all’idea di uno spazio pubblico come luogo di discussione e (ancora una volta) di provocazione. Così, nel 2003, era nata Murinsel, un’isola sul fiume Mura a Graz (in Austria) dove, diceva Vito Acconci, «poter iniziare a cambiare le cose».