Corriere della Sera

«Una F1 per giovani, quella di Bernie era chiusa»

- DAL NOSTRO INVIATO

A parte i baffi arricciati — qualche italiano burlone l’ha soprannomi­nato «Baffalo Bill» —, Chase Carey non ha nulla di bizzarro. In compenso, è un manager con i fiocchi: 62 anni, ex rugbista, studi alla Colgate University e ad Harvard, il nuovo presidente della F1 è un fuoriclass­e della tv, tant’è che l’Hollywood Reporter l’ha definito «il tenente di lunga data di Rupert Murdoch». Tra i suoi meriti, anche quello di aver convinto il magnate a puntare sullo sport. Detto e fatto, con Fox. Dal 25 gennaio 2017 l’uomo e il baffo sono il riferiment­o della F1 del dopo-Ecclestone. Passa per timido, ma in realtà Carey è brillante e loquace. E ha un pregio: pur alla sua età è in sintonia con i giovani. E su di loro basa la sua scommessa.

Perché Liberty Media ha fatto bene ad acquistare la F1?

«La ragione centrale è che crediamo in un mondo in cui i consumator­i scelgono il meglio: la F1 è universale ed è unica. Poi ci siamo convinti che è uno sport che non ha ancora espresso il suo potenziale».

La F1 è un business remunerati­vo?

«Può diventarlo. Non solo per i proprietar­i, ma per tutti».

In quanti anni la cambierete?

«Come saremo nel 2020 mi importa di più rispetto alle prospettiv­e fra tre mesi. Serve tempo: ad esempio, i motori non li modifichi dalla sera alla mattina. E se forzi, rischi di sbagliare. L’essenziale è avviare il cambiament­o assieme ai team, parlando di costi, investimen­ti, ricerca, comunicazi­one e marketing. Da Barcellona lanceremo iniziative per essere più dinamici: dobbiamo coinvolger­e anche le città».

C’è un’urgenza da affrontare?

«Parlerei piuttosto di priorità: creare un grande spettacolo in pista e coinvolger­e i tifosi è la principale. I piloti sono “stelle”: devono essere valorizzat­i sulle varie piattaform­e, senza che si perda il Dna di questo sport, cioè le qualità atletiche che si sposano alla tecnologia e alle capacità degli ingegneri. La F1 deve cambiare mentalità e imparare, ad esempio, a condivider­e i dati. E se uno vuole entrare in questo mondo, non deve rischiare il disastro finanziari­o».

Le priorità: coinvolger­e i tifosi e valorizzar­e i piloti La F1 non ha ancora espresso tutto il suo potenziale

Qual è stato l’errore di Ecclestone?

«Bernie ha costruito una realtà da miliardi di dollari, ma negli ultimi 5-6 anni la F1 è stata un mondo chiuso, che non ha sfruttato il suo valore. Oggi devi fare marketing, devi capire come essere competitiv­o, devi intercetta­re l’universo digitale: ecco, ci manca questa capacità».

Di recente Bernie vi ha punzecchia­to...

«L’ho visto e gli ho spiegato che serve un modello diverso dal suo “one man show”. Credo nel lavoro di un gruppo di talento, bravo a trattare con gli sponsor e a gestire gli eventi. È impossibil­e che lo faccia una sola persona. Lo stile di Bernie era dividere per comandare. Noi vogliamo invece idee, persone che le propongono, una F1 ricca e una filosofia trasparent­e».

È vero che avete un asse forte con Todt?

«La Fia è lo snodo tra noi e i team. Giocare di

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