L’Emilia Romagna dimostra che si può fare (molto) meglio
In questa Regione investimenti, trasparenza e responsabilità condivisa hanno permesso, nel giro di un anno, il rispetto dei tempi previsti per esami e visite del 98 per cento dei pazienti
Èpossibile ridurre le attese in modo che le cure più appropriate vengano garantite in tempi certi? In Emilia Romagna ci sono riusciti in poco più di un anno dall’entrata in vigore del nuovo Piano regionale sulle liste di attesa, varato a luglio 2015.
Oggi, in questa Regione, in circa il 98% dei casi le visite specialistiche e gli esami diagnostico-strumentali vengono effettuati nei tempi previsti, rispettivamente entro 30 o 60 giorni, dal momento della prenotazione, mentre le urgenze continuano a essere assicurate in base alle priorità. L’esempio dell’Emilia Romagna è stato indicato dalla stessa ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, come «un modello da seguire». Una buona pratica che potrebbe essere ripresa nel prossimo Piano nazionale di Governo delle liste di attesa (si veda articolo in alto).
Ma vediamo come hanno fatto in Emilia Romagna a ridurre drasticamente le code per visite ed esami. Sono diversi gli interventi adottati dalla Regione, in accordo con le Aziende sanitarie, a partire dall’ampliamento dell’offerta di prestazioni.
Sono stati investiti circa 10 milioni di euro e assunti 149 professionisti. Con più personale sanitario gli ambulatori rimangono aperti anche nelle ore serali dei giorni feriali, il sabato e la domenica. Inoltre, per agevolare l’accesso alle prestazioni più richieste, quindi a maggior rischio di lunghe attese, le aziende sanitarie possono decidere di fare convenzioni con strutture private accreditate.
Sono state poi semplificate le agende delle prenotazioni per i primi accessi e, dopo le prime visite, le aziende sanitarie devono prendere in carico il paziente senza rimandarlo dal medico di famiglia e poi di nuovo al Cup per la prenotazione. Per evitare esami inutili, inoltre, è stata rafforzata la collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti.
In ogni azienda sanitaria c’è un responsabile unico dell’accesso alle prestazioni specialistiche ambulatoriali che ha il compito di gestirle e modificarle. «Ogni mese ci incontriamo per analizzare insieme a tutti i responsabili le eventuali criticità ma anche per condividere le migliori pratiche — spiega Antonio Brambilla, responsabile del Servizio assistenza territoriale dell’assessorato alle Politiche per la salute dell’Emilia Romagna —. Oggi è attivo un sistema che in tempo reale permette ai direttori delle Asl e al responsabile unico dell’accesso alle prestazioni di controllare le attese e verificare se ci sono aree problematiche, in modo da adeguare tempestivamente l’offerta». «Abbiamo puntato molto anche sulla trasparenza del monitoraggio dei tempi di attesa — prosegue Brambilla — . Ogni settimana pubblichiamo sul sito della Regione il report sulle prestazioni monitorate, azienda per azienda, in modo che tutti i cittadini possano verificare le attese, il che sprona anche le Asl a fare meglio».
Se nella struttura pubblica le liste di attesa sono fuori controllo scatta il blocco immediato della libera professione (intramoenia). Il rispetto dei tempi massimi di attesa, inoltre, è tra i criteri di valutazione dei Direttori generali delle Asl. Infine, chi non può andare all’appuntamento prenotato deve disdirlo almeno due giorni prima, altrimenti paga un ticket. Una misura ben accolta visto che in sei mesi le mancate presentazioni sono scese dal 7 all’1%, liberando, quindi, posti per altre persone.
«Il sistema messo a punto in Emilia Romagna dimostra come sia possibile ridurre le lunghe attese — commenta Tonino Aceti,coordinatore del Tribunale dei diritti del malato —. Dovrebbero diventare uno standard a livello nazionale e rientrare nel nuovo Piano di governo delle liste di attesa misure quali la valutazione dei Direttori generali delle Asl in base al rispetto dei tempi fissati per legge, il blocco dell’intramoenia quando le attese sono troppo lunghe nel pubblico, la gestione informatizzata e trasparente delle agende di tutte le strutture pubbliche e accreditate. È necessario, inoltre, introdurre a livello regionale e nazionale un sistema di monitoraggio più stringente sul rispetto dei tempi: al controllo istituzionale — suggerisce Aceti — andrebbe affiancato quello delle organizzazioni civiche che consentirebbe di avere il polso sulle attese di chi ogni giorno accede al Servizio sanitario».