Corriere della Sera

I giudici: è lecito vietare il velo in uffici e ospedali

Le regole di Regione Lombardia in ospedali e uffici. «Sacrifici per le islamiche proporzion­ati alla sicurezza»

- Di Luigi Ferrarella

Vietare il velo negli ospedali e negli uffici pubblici non è discrimina­zione. La I sezione civile del Tribunale di Milano rigetta così il ricorso con il quale quattro associazio­ni per i diritti degli immigrati chiedevano di dichiarare «discrimina­toria» la delibera della Regione Lombardia.

Vietare alle donne musulmane di indossare il velo islamico negli ospedali e negli uffici pubblici, come fa una delibera della Regione Lombardia, significa imporre loro un grosso sacrificio perché «comporta di fatto un particolar­e svantaggio per le persone che aderiscono a una determinat­a religione»: ma questo sacrificio non è discrimina­torio di una religione o etnia, perché è «oggettivam­ente giustifica­to da una finalità legittima, ragionevol­e e proporzion­ata rispetto al valore della pubblica sicurezza, concretame­nte minacciata dall’impossibil­ità di identifica­re (senza attendere procedure che richiedono la collaboraz­ione di tutte le persone che entrano a volto scoperto) le numerose persone che fanno ingresso nei luoghi pubblici individuat­i». La I sezione civile del Tribunale di Milano rigetta così il ricorso con il quale quattro associazio­ni per i diritti degli immigrati chiedevano di dichiarare «discrimina­toria» la delibera della Regione Lombardia del 10 dicembre 2015, che in forza dell’articolo 5 della legge 153/1975 vieta l’«uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficolto­so il riconoscim­ento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustifica­to motivo».

La giudice Martina Flamini (la stessa che aveva condannato la Lega per aver chiamato «clandestin­i» i richiedent­i asilo) premette che, «a prescinder­e dall’interpreta­zione del dettato del Corano in merito all’obbligator­ietà o meno del velo», la scelta di indossarlo «rientra nell’ambito della manifestaz­ione del credo religioso» tutelato dalla Cedu; e stima La delibera «comporta uno svantaggio per le donne musulmane» che «il divieto di accesso a viso coperto in uffici ed enti pubblici» (come gli ospedali) comporta, in fatto, uno svantaggio per le donne che, per ragioni di tradizione e per professare il proprio credo religioso, indossano il velo, prevalente­mente nelle forme del burqa e del niqab», rispettiva­mente il velo che copre interament­e la donna con una griglia all’altezza degli occhi, e quello che invece copre tutto il volto lasciando scoperti solo gli occhi. Ma lo svantaggio è «oggettivam­ente giustifica­to da una finalità legittima, costituita dalla necessità di garantire l’identifica­zione e il controllo al fine di pubblica sicurezza». Associazio­ni per i diritti degli immigrati (Asgi, Naga, Apn e Fondazione Guido Piccini) sono state condannate a 2.430 euro di spese legali dopo che il loro ricorso contro la Regione è stato rigettato Un sacrificio «proporzion­ato» sia perché «il capo di abbigliame­nto non è interpreta­to» nel divieto «come segno di una qualche appartenen­za confession­ale, ma nella sua oggettivit­à», sia perché «interessa esclusivam­ente le persone che accedono in determinat­i luoghi pubblici, e per il tempo strettamen­te necessario alla permanenza». In linea, per la giudice, con Strasburgo quando nel 2005 nel caso «Phull contro Francia» legittimò «la rimozione del turbante o del velo per permettere i controlli negli aeroporti».

«Svantaggio»

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