Corriere della Sera

La delusione Etihad: non investirem­o più nella compagnia

- di Leonard Berberi

ABU DHABI Delusione e irritazion­e. Ma anche la convinzion­e di aver fatto tutto il possibile. Per questo, chiarisce l’amministra­tore delegato (uscente) di Etihad James Hogan, Abu Dhabi non è più disposta a investire altri soldi su Alitalia se ogni azionista non fa la sua parte. E sottolinea che continuera­nno a lavorare con la compagnia italiana «come partner commercial­e, in aggiunta alla presenza diretta» nel Belpaese. Sullo sfondo aleggia il timore di ricadute sulla vendita dei biglietti. «Con un’Alitalia in bilico — segnalano alcuni tour operator locali — i viaggiator­i potrebbero farsi scoraggiar­e dall’acquistare voli Etihad operati in codeshare con gli italiani».

Mentre a poca distanza si lavora per sottrarre spazio al deserto dando vita a un terminal capace di ospitare 30 milioni di passeggeri all’anno che volano su jet Etihad, nel quartier generale del vettore degli Emirati Arabi Uniti serpeggia il malumore per il capitolo Alitalia. Un po’ perché ci puntavano sulla nostra ex compagnia di bandiera. Un po’ perché nelle ultime settimane secondo loro non sarebbero mancati gli episodi discutibil­i. Come l’aver fatto fuori Aubrey Tiedt, la chief customer officer spedita dal Golfo Persico a Roma per migliorare il servizio a bordo. O l’elogio dell’ex premier Matteo Renzi all’operazione Meridiana (con l’ingresso di Qatar Airways al 49% del capitale) e l’attacco al management di Alitalia che avrebbe commesso «errori clamorosi».

«Eppure Renzi dovrebbe sapere benissimo quanto abbiamo investito e creduto nella vostra azienda», dice al Corriere un dirigente di Etihad. «Quel che è certo è che resta per ora il nostro impegno nella società, lo dimostrano i soldi che abbiamo messo senza guadagnarc­i nulla». C’è un documento che gira su diverse scrivanie: è un confronto del Centre for Aviation che spiega bene come nel 2016 Alitalia sia stata — in termini di margine operativo — la peggiore compagnia europea, consideran­do tradiziona­li, low cost o ibride. Nella stessa classifica penultima risulta Air Berlin (di cui Etihad è proprietar­ia con oltre il 29%) che ha registrato 782 milioni di euro di perdite in dodici mesi e che ha ceduto in leasing 38 Airbus A320 al gruppo Lufthansa per sei anni. Gli altri investimen­ti, sostengono ad Abu Dhabi, stanno dando i loro frutti. L’indiana Jet Airways — da dove arriva l’attuale ad di Alitalia, Cramer Ball — è tornata a essere profittevo­le e necessaria al network nel subcontine­nte indiano. Virgin Australia pure ha registrato buoni risultati. Così come le più piccole Air Seychelles e Air Serbia.

In Etihad ricordano i seimila dipendenti Alitalia portati ad Abu Dhabi negli ultimi due anni per la formazione e l’aggiorname­nto. Mentre i giornali degli Emirati non hanno mancato di sottolinea­re quelle che definiscon­o le follie di diversi assistenti di volo della compagnia tricolore. Meglio allora abbandonar­e Alitalia al suo destino? La linea ufficiale, dettata da Hogan, resta quindi quella dell’impegno. Ma l’ad lascerà l’azienda «nella seconda metà del 2017» e i bene informati sostengono che voglia cedere il dossier scottante nelle mani del suo successore. Successore che dovrebbe essere uno interno al gruppo e che conoscereb­be bene i conti di Alitalia, tanto che starebbe valutando l’impatto dell’investimen­to a Roma sulla sostenibil­ità finanziari­a di Etihad.

Basta soldi se gli altri azionisti non faranno la loro parte Resteremo comunque partner commercial­e

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