Addio al comunista che sapeva dialogare con i nemici di classe
Direttore del manifesto, i contatti con Cuccia
Quando morì Vincenzo Balzamo, amministratore del Partito socialista di Bettino Craxi sfibrato in quel momento da inchieste su tangenti, Valentino Parlato ritenne naturale andare alla sua camera ardente. L’anno era il 1992. La scelta non era scontata. In una sinistra abituata da decenni a dilaniarsi in divisioni che spezzavano anche amicizie e legami personali, per la parte più anticraxiana del versante comunista un dirigente socialista allora era il nemico, il corrotto. «Con Balzamo vivo, parlavo. Da morto, lo saluto», disse Valentino a chi scrive. A qualcuno sembrava inopportuno? Non ravvisava motivo di dagli retta.
Il settarismo. Se c’è una malattia di settori della sinistra che di certo Parlato, uno dei fondatori del quotidiano comunista il manifesto scomparso ieri a Roma a 86 anni, non aveva è quella del settarismo. Termine dimenticato del lessico comunista, indica il vizio dell’autorecludersi in una setta, del nutrirsi di idee fornite solo dai propri simili, di non esplorare «le masse» e mondi diversi dal proprio.
Tanto Luigi Pintor era abile nell’inventare titoli sarcastici e scrivere corsivi sferzanti, così tra i fondatori del manifesto Valentino era maestro nel passare al di sotto delle barriere che dividevano da alcuni avversari ritenuti adatti a essere interlocutori. Come se a consentirgli quelle escursioni fossero la sua corporatura piccola capace di attraversare spazi stretti e il suo sorriso scanzonato. La redazione di via Tomacelli ne ricavava informazioni di prima mano sull’economia, prestiti, aiuti indispensabili per la vita di una testata povera alimentata per lo più da sottoscrizioni di piccole somme di denaro.
Mente dinamica, sia utopistica sia disincantata, Parlato ha mantenuto a lungo un canale di comunicazione con Cesare Romiti, l’uomo forte della Fiat, e il manifesto non era amichevole verso la più grande azienda automobilistica italiana. In redazione si sapeva che Valentino aveva contatti con Enrico Cuccia, riservato sovrano di Mediobanca che indirizzava scelte di rilievo del capitalismo nazionale. Non c’era alcun vezzo cinico, gusto machiavellico in questi rapporti. A spingere Parlato era altro: curiosità, un imperativo di derivazione gramsciana del conoscere per capire, incapacità di confinare la propria testa in un recinto.
Nato a Tripoli nel 1931, comunista diventò da ragazzo e comunista è rimasto. Fu allontanato dalla Libia dalle autorità di re Idris. A Botteghe Oscure lavorò nell’ufficio sull’economia di Giorgio Amendola, dirigente dell’ala riformista del Partito comunista che si sarebbe poi contrapposta alla rivista il manifesto, rivoluzionaria, malvista dall’Unione Sovietica per aver condannato
l’invasione di Praga. Nel 1969 il gruppo della rivista fu radiato dal Pci. Parlato, licenziato da Rinascita, contribuì nel 1971 a far pubblicare il manifesto quotidiano. Più volte ne fu direttore. Con Pintor, con Rossana Rossanda, da solo.
«Per il giornale Valentino era una specie di nume tutelare», ci diceva ieri Rossanda mentre scriveva un suo ricordo per il manifesto attuale sul quale, dopo contrasti, è tornata a firmare. Nume particolare, però. Sigaretta tra le labbra, whisky al bar Antille con giornalisti e tipografi, Parlato per decenni ha detto cose serie senza prendersi sul serio. «Era intelligente, ironico, generosissimo, bizzarro, ma disciplinatissimo», ci ricordava Luciana Castellina, altra fondatrice della testata. «Tra quanti hanno diretto il manifesto è stato il più costante, tutti poi hanno fatto altro. È rimasto al pezzo», notava.
Sono state le mogli, Clara Valenziano e poi Maria Delfina Bonada, a percorrere con Valentino anni di svolte e movimento accomunati da un elemento: una sua connaturata irriverenza da giovane ribelle verso le ortodossie. Fino al votare per Virginia Raggi di 5 Stelle a Roma, nel 2016, sperando che fosse la prima e l’ultima volta nel negare il voto a sinistra. Graffio da scontento a un Pd giudicato superficiale, non scelta di fede. Stamattina, camera ardente all’ospedale Fatebenefratelli. Venerdì alle 17, in Campidoglio, l’ultimo saluto. A un uomo mai banale che mancherà a non pochi.