Corriere della Sera

Un giornalist­a mai banale

- Di Paolo Franchi

Tanti gli hanno voluto bene, io tra questi. Per mille motivi, e uno su tutti: Valentino Parlato, giornalist­a comunista, uomo di un’Italia che va sparendo, non fu mai banale, né in pubblico né in privato. Non era retorico, e amava gli ossimori: «amendolian­o di sinistra», si definiva, alla faccia della topografia politica classica del vecchio Pci. Stimava ed era stimato da molti avversari politici, e anche da molti avversari «di classe»: sono rimaste memorabili le sue cene torinesi con l’amico Cesare Romiti, nel 1980, durante i quaranta giorni di fuoco della Fiat. Per tenere in vita il manifesto, di cui era stato tra i fondatori e che per quattro volte aveva diretto, bussò a un’infinità di porte, e molte, all’apparenza impensabil­i, gli furono aperte: non era solo il suo giornale, il manifesto, era una parte fondamenta­le della sua vita anche quando ci litigava, così come lo era, più in generale, la sinistra. Ma, con tutto il savoir vivre di questo mondo, tenne sempre il punto. Senza piegarsi a mo’ di giunco in attesa che passi la piena, cercando sempre un filo da tirare per riprendere un discorso interrotto. E senza cedere al conformism­o. Nemmeno a quello della parte in cui ostinatame­nte militava, spes contra spem. I ricordi si affollano e si confondono un po’. Penso a certe mattinate di tanti anni fa, io in marcia verso la vecchia sede romana del Corriere, in via Tomacelli, lui verso quella del manifesto, quasi attaccata; la sosta da Ciampini, caffè macchiato (e sigaretta) per me, whisky (e due sigarette) per lui; le nostre chiacchier­e di giornalist­i amici, un po’ gossip, un po’ anticipo delle rispettive riunioni di redazione. Ci sarebbe piaciuto fare qualcosa insieme, non lo abbiamo mai fatto: non sai quanto mi dispiace, Valentino. Un abbraccio a Delfina, a Valentina e a tutti i tuoi cari.

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