Un giornalista mai banale
Tanti gli hanno voluto bene, io tra questi. Per mille motivi, e uno su tutti: Valentino Parlato, giornalista comunista, uomo di un’Italia che va sparendo, non fu mai banale, né in pubblico né in privato. Non era retorico, e amava gli ossimori: «amendoliano di sinistra», si definiva, alla faccia della topografia politica classica del vecchio Pci. Stimava ed era stimato da molti avversari politici, e anche da molti avversari «di classe»: sono rimaste memorabili le sue cene torinesi con l’amico Cesare Romiti, nel 1980, durante i quaranta giorni di fuoco della Fiat. Per tenere in vita il manifesto, di cui era stato tra i fondatori e che per quattro volte aveva diretto, bussò a un’infinità di porte, e molte, all’apparenza impensabili, gli furono aperte: non era solo il suo giornale, il manifesto, era una parte fondamentale della sua vita anche quando ci litigava, così come lo era, più in generale, la sinistra. Ma, con tutto il savoir vivre di questo mondo, tenne sempre il punto. Senza piegarsi a mo’ di giunco in attesa che passi la piena, cercando sempre un filo da tirare per riprendere un discorso interrotto. E senza cedere al conformismo. Nemmeno a quello della parte in cui ostinatamente militava, spes contra spem. I ricordi si affollano e si confondono un po’. Penso a certe mattinate di tanti anni fa, io in marcia verso la vecchia sede romana del Corriere, in via Tomacelli, lui verso quella del manifesto, quasi attaccata; la sosta da Ciampini, caffè macchiato (e sigaretta) per me, whisky (e due sigarette) per lui; le nostre chiacchiere di giornalisti amici, un po’ gossip, un po’ anticipo delle rispettive riunioni di redazione. Ci sarebbe piaciuto fare qualcosa insieme, non lo abbiamo mai fatto: non sai quanto mi dispiace, Valentino. Un abbraccio a Delfina, a Valentina e a tutti i tuoi cari.