Cena burrascosa tra May e Juncker E la Brexit rischia di naufragare
Avevano detto che i colloqui fra Theresa May e Jean-Claude Juncker durante la cena a Downing Street di mercoledì scorso erano stati costruttivi. Niente di più lontano dalla realtà: l’incontro fra la premier britannica e il presidente della Commissione europea è andato malissimo, secondo quanto rivelato domenica dai giornali tedeschi. Lo scambio di vedute è servito solo a mostrare l’abisso esistente fra le posizioni di Londra e Bruxelles sulla Brexit: e in questa situazione il rischio che la separazione fra Regno Unito e Unione Europea risulti in un drammatico naufragio è diventato assai concreto.
I punti del contendere sono numerosi: dai diritti dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna al conto del divorzio che Londra dovrà versare nelle casse comunitarie, dall’idea che l’Irlanda del Nord potrà rimanere nella Ue in caso di riunificazione con Dublino alla prospettiva che una Scozia indipendente diventi membro dell’Unione. Tutte questioni evocate con fermezza nelle linee guida sul negoziato rese pubbliche da Bruxelles. Per non parlare dell’idea, coltivata da Londra, che si riesca a concludere un accordo complessivo entro i due anni concessi dai Trattati: prospettiva giudicata irrealistica dagli europei, che vogliono sciogliere tutti i nodi del contenzioso prima ancora di sedersi a discutere di relazioni future.
Lo stesso Juncker ha fatto trapelare che a suo avviso le possibilità di un fallimento sono superiori al 50 per cento: e a rasserenare il
clima non aiuta l’animosità che sembra montare da entrambe le parti.
La Ue pare ormai che tratti il Regno Unito più come un rivale che come un membro dell’Unione: uno «Stato terzo», in altre parole. E le stesse rivelazioni di domenica, dietro le quali c’era probabilmente la mano del potente capo di gabinetto di Juncker, il tedesco Martin Selmayr, sono state vissute come una pugnalata alla schiena dagli inglesi, che preferirebbero condurre le trattative nella maniera più riservata possibile.
Ma il problema di fondo è eminentemente politico. Theresa May, e prima di lei gli alfieri della Brexit, hanno continuato a ripetere che l’uscita dalla Ue sarebbe stata un successo per la Gran Bretagna. Che Londra avrebbe potuto navigare libera nei mari aperti globali, vascello corsaro a caccia di bottino sui mercati mondiali. Gli europei la vedono in maniera opposta: «Il governo britannico deve abbandonare il mito che staranno meglio dopo la Brexit». In pratica, per scoraggiare altre tentazioni, è vitale che Londra caschi male.
Theresa May comincia a rendersene conto: sì, ma ora chi glielo spiega all’opinione pubblica? Come si fa a far digerire un conto da 60 miliardi? Come si giustifica l’abbassamento del tenore di vita e la perdita di posti di lavoro? Ecco allora la tentazione di far saltare il banco e ritirarsi in uno sdegnoso isolamento. Come la celebre vignetta del 1940: «Very well, alone», molto bene, soli.