I pm su Cappato «Ha aiutato dj Fabo a esercitare il diritto alla dignità»
Istigazione al suicidio, chiesta l’archiviazione
Se esiste un diritto alla vita, c’è anche un diritto a viverla nel rispetto della propria dignità, e se è insopportabile continuare a sopravvivere tra atroci sofferenze in un corpo che è una prigione, allora anche il suicidio diventa un diritto. Con una motivazione che traccia un nuovo solco nell’affermazione dell’auto determinazione del proprio «fine vita», la Procura di Milano chiede l’archiviazione dell’inchiesta
La richiesta della Procura riafferma l’autodeterminazione sul proprio «fine vita»
in cui è indagato Marco Cappato, l’esponente dei Radicali accusato di aver «agevolato» il suicidio di dj Fabo.
Intubato e alimentato
Fabiano Antoniani, 40 anni, cieco e tetraplegico dopo un grave incidente del 2014, il 27 febbraio scorso morì nella clinica Dignitas vicino a Zurigo dove lo aveva portato in auto Cappato, che poi si autodenuncerà. Il disc jockey non respirava in autonomia, era intubato e veniva alimentato con un sondino. Nessuna speranza di miglioramento. Solo i farmaci che lo annebbiavano potevano alleviare i dolori fortissimi, ma lui li rifiutava perché la mente lucida era l’unico suo contatto con il mondo. Una condizione che considerava insopportabile. Avrebbe potuto rifiutare le cure, come permesso in Italia se si è in grado di intendere e volere, ma a differenza di Welby non sarebbe morto in pochi minuti ed avrebbe costretto i suoi familiari ad assistere impotenti a una lunga fine.
L’ultimo viaggio
Lo aveva detto più volte anche ai sanitari della Dignitas che lo avevano esaminato prima di dare il via alla procedura di «accompagnamento alla morte volontaria» consentita in Svizzera, quando lui stesso ha azionato con i denti il meccanismo di rilascio del farmaco che lo ha ucciso.
Per escludere le responsabilità di Cappato, nelle 15 pagine della motivazione i pm Tiziana Siciliano e Sara Arduini ricordano che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la stessa Costituzione italiana considerano la dignità umana un diritto. Così come fanno per l’autodeterminazione, che resta inviolabile anche quando porta alla morte di un paziente in stato vegetativo che abbia espresso la sua volontà di morire nel momento in cui era in grado di farlo. Lo ha ribadito la Cassazione nel caso Eluana Englaro e prima il gup di Roma in quello Piergiorgio Welby.
I magistrati, sottolineato che il diritto alla vita è «indisponibile», concludono che se si può parlare di un «diritto al suicidio» che passa attraverso la rinuncia a una terapia, allora c’è anche un diritto a una terapia finalizzata alla morte. Di conseguenza, il suicidio assistito non è un reato e il paziente può sottoporsi ad esso solo a condizione che si sia in presenza di «situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta “intollerabile e indegna” dal malato stesso». I pm Siciliano e Arduini, consapevoli percorrere una strada giuridicamente complessa, auspicano che la questione sia risolta prima o poi da un intervento
del Parlamento.
La scelta dei pm
Antoniani uccidendosi adempieva a un suo diritto costituzionale, quindi Cappato non ha commesso alcun reato e se il gip non dovesse condividere questa interpretazione la Procura è pronta a ricorrere alla Consulta. I pm, però, seguono anche un cammino alternativo. Consapevoli che il reato di istigazione al suicidio si presta a interpretazioni molto ampie, visto che persegue chiunque lo «agevoli» in «qualsiasi modo», sceglie quella più restrittiva. Cappato non ha avuto un ruolo diretto nell’evento perché si è limitato ad accompagnare dj Fabo in Svizzera e ad assistere alla prova del meccanismo. In attesa della decisione del gip, Cappato annuncia che continuerà «l’azione di aiuto alle persone che vogliono ottenere, in Italia o all’estero, l’interruzione delle proprie sofferenze».
Autodeterminazione