Il curdo diventato re dello yogurt vittima di fake news e cospirazionisti
Stati Uniti, Hamdi Ulukaya dà lavoro a 2.000 persone e assume centinaia di rifugiati I siti dell’ultradestra lo attaccano. La difesa del «Wall Street Journal»: limiti alle falsità
Prima «Mr Yogurt». Poi angelo dei rifugiati, accusato da una rumorosa minoranza di essere il condottiero di una campagna occulta per islamizzare l’America. L’imprenditore turco di origine curda titolare della Chobani, negli Usa si è trovato a svolgere vari ruoli, suo malgrado. Hamdi Ulukaya, accusato senza fondamento da alcuni siti dell’ultradestra di portare epidemie e stupratori negli Stati Uniti, potrebbe ora diventare il termometro vivente del fenomeno delle «fake news», le notizie false diffuse da testate estremiste e poi amplificate dalla rete.
Quella di Ulukaya è una bellissima storia che a un certo punto si trasforma in incubo: arrivato da ragazzo in America per sfuggire alle persecuzioni contro i curdi, Hamdi negli ultimi dieci anni ha costruito dal nulla un piccolo impero dello yogurt greco con due stabilimenti, uno a New York, l’altro
in Idaho. Ormai ricco e famoso, l’imprenditore, oggi 42enne, non ha dimenticato chi è stato meno fortunato di lui: ha cominciato ad aiutare i profughi che attraversano il Mediterraneo, soprattutto i siriani, ha compiuto missioni filantropiche anche nel Canale di Sicilia e poi si è messo ad assumere rifugiati (300 sui 2.000 addetti dei suoi due impianti).
Per un po’ si è sentita solo la voce di chi lo considera un modello positivo: ha integrato siriani, afghani e iracheni nel tessuto sociale Usa, ha donato il 10 per cento della sua azienda ai dipendenti. Poi, col successo di Trump e il rafforzarsi della voce di Breitbart e degli altri «media» dell’ultradestra, tutto è cambiato. Dopo lo stop di Trump agli ingressi dai Paesi islamici, dedicarsi ai rifugiati, soprattutto se musulmani, è diventato, per gli arciconservatori, quasi un atto sovversivo: per il sito Wnd con Ulukaya
l’America affogherà in un mare musulmano, mentre Breitbart ha scritto che nel 2012, anno dell’apertura dello stabilimento di Twin Falls, Idaho, i casi di tubercolosi della zona sono aumentati del 500%. Cioè sono stati registrati 5 nuovi casi (prima c’era un solo malato) e comunque i rifugiati sono stati in gran parte assunti negli anni successivi. Ma i tamburi hanno cominciato a rullare e quando una bimba di 5 anni ha subito molestie sessuali da tre immigrati (due africani e un iracheno), InfoWars, il sito di Alex Jones, il teorico delle cospirazioni, ha denunciato: «Ragazzina minacciata con un coltello e stuprata da siriani».
Nonostante la polizia abbia accertato che non c’erano coltelli, non c’è stato stupro e non c’erano siriani coinvolti, la storia continua a essere rilanciata e amplificata. E allora Ulukaya, pur rifiutando interviste ed evitando dichiarazioni per non alimentare altri scontri, ha denunciato Jones chiedendo una rettifica e un indennizzo molto basso: appena diecimila dollari. Ma proprio questa scelta del basso profilo può rendere il caso paradigmatico: quando la pena chiesta è lieve, il giudizio in genere è rapido. E stavolta è scesa in campo anche la testata più autorevole della destra Usa, il Wall Street Journal: difende Ulukaya e sostiene che il suo caso deve servire a fissare limiti insuperabili nella diffusione di informazioni false.
La campagna Gli articoli comparsi su di lui parlano di più casi di tubercolosi e bambine violentate