Corriere della Sera

«L’innalzamen­to dell’età del ritiro? È costato 43 mila posti in meno»

- Lorenzo Salvia

La riforma Fornero, che alla fine del 2011 ha alzato l’età della pensione, è stata più volte accusata di aver creato un tappo alle assunzioni, in particolar­e quelle dei giovani. Una critica spesso utilizzata sul terreno della politica ma che adesso ha anche una base scientific­a. Nei primi tre anni di applicazio­ne, e cioè tra il 2012 e il 2014, le nuove regole previdenzi­ali hanno indotto il 2,2% delle aziende italiane a rinunciare alle assunzioni già programmat­e. E questo ha comportato una «perdita di nuove assunzioni pari a 43 mila lavoratori». Tanto o poco? Abbastanza, visto che quei 43 mila «non assunti» valgono lo 0,5% del totale dei lavoratori dipendenti alla fine del 2014. I dati arrivano da un ricerca dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ente controllat­o dal ministero del Lavoro.

La ricerca — basata su un campione di 30 mila aziende — consente di capire dove l’impatto della riforma è stato più forte. Tra le piccole imprese, quelle al di sotto dei 15 dipendenti, la fetta che ha rinunciato ad assumere è stata pari all’1,6%. Tra le aziende più grandi, oltre i 250 lavoratori, la quota schizza al 15%. Aprendo la cartina geografica dell’Italia viene fuori che l’effetto-tappo si è fatto sentire soprattutt­o nelle zone dove l’economia è più dinamica: nel Nord-Ovest le aziende che hanno rinunciato ad assumere sono state il 2,6% del totale, un valore di poco superiore a quello del Nord-Est. Mentre al Centro e al Sud, la quota delle imprese che hanno cambiato programma si ferma al di sotto del 2%. C’è poi un’ultima classifica interessan­te, quella dei settori produttivi più colpiti: al primo posto c’è l’industria, che con quasi 20 mila assunzioni mancate copre quasi la metà del totale.

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