«L’innalzamento dell’età del ritiro? È costato 43 mila posti in meno»
La riforma Fornero, che alla fine del 2011 ha alzato l’età della pensione, è stata più volte accusata di aver creato un tappo alle assunzioni, in particolare quelle dei giovani. Una critica spesso utilizzata sul terreno della politica ma che adesso ha anche una base scientifica. Nei primi tre anni di applicazione, e cioè tra il 2012 e il 2014, le nuove regole previdenziali hanno indotto il 2,2% delle aziende italiane a rinunciare alle assunzioni già programmate. E questo ha comportato una «perdita di nuove assunzioni pari a 43 mila lavoratori». Tanto o poco? Abbastanza, visto che quei 43 mila «non assunti» valgono lo 0,5% del totale dei lavoratori dipendenti alla fine del 2014. I dati arrivano da un ricerca dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ente controllato dal ministero del Lavoro.
La ricerca — basata su un campione di 30 mila aziende — consente di capire dove l’impatto della riforma è stato più forte. Tra le piccole imprese, quelle al di sotto dei 15 dipendenti, la fetta che ha rinunciato ad assumere è stata pari all’1,6%. Tra le aziende più grandi, oltre i 250 lavoratori, la quota schizza al 15%. Aprendo la cartina geografica dell’Italia viene fuori che l’effetto-tappo si è fatto sentire soprattutto nelle zone dove l’economia è più dinamica: nel Nord-Ovest le aziende che hanno rinunciato ad assumere sono state il 2,6% del totale, un valore di poco superiore a quello del Nord-Est. Mentre al Centro e al Sud, la quota delle imprese che hanno cambiato programma si ferma al di sotto del 2%. C’è poi un’ultima classifica interessante, quella dei settori produttivi più colpiti: al primo posto c’è l’industria, che con quasi 20 mila assunzioni mancate copre quasi la metà del totale.