Corriere della Sera

Zucchero: io e Guccini, serate di duetti «A casa di Francesco si beve e si canta, ci uniscono le storie del nostro Appennino emiliano»

- Andrea Laffranchi

Viaggia sui social la coda polemica del concertone, protagonis­ta Edoardo Bennato (foto). Il cantautore napoletano ha postato ieri attraverso il suo staff il disappunto «perché durante l’esecuzione dell’ultimo brano, Meno male che adesso non c’è Nerone, la Rai ha interrotto in modo brutale la trasmissio­ne, mandando in onda la pubblicità. Disguido, disorganiz­zazione o censura?». Viale Mazzini rimanda l’accusa al mittente, spiegando che si è trattato di un problema tecnico. Più precisamen­te ha ricostruit­o l’accaduto Massimo Bonelli di iCompany, volta... «Si mangia, si beve e si ride. Ci raccontiam­o storie dei nostri paesini dell’Appennino emiliano. Ci troviamo perché lui è ironico e sarcastico, come me. Fa battute in dialetto fantastich­e. Per me è come incontrare un professore e maestro di vita». C’è qualcosa che li unisce anche nella musica. «Da ragazzino avrei voluto essere Guccini. Ho un nastro pieno di canzoni stile Guccini, incise con il mio primo registrato­re, un due piste che mi regalò mio zio. In seguito ho cambiato genere, sono stato folgorato da Otis Redding e Ray Charles, ma da anni penso a fare delle cover di Guccini». L’idea di reinterpre­tare lo stuzzica. Un progetto sulla musica italiana tipo quello che Dylan sta facendo con il canzoniere americano? «Sceglierei brani poco famosi e li farei in versione totalmente diversa dall’originale: devo essere orgoglioso di invecchiar­e bene, altrimenti meglio morire prima».

L’Arena è l’unica tappa italiana (multipla) del tour mondiale di «Black Cat». «Attenti però a dire che io sono l’Arena di Verona. Mi piace diversific­are.

Francesco Guccini è nato a Modena. Per l’amico ha scritto il testo di «Un soffio caldo», brano del 2011 contenuto su «Chocabeck» (nella foto i due nel videoclip) In futuro dovremo inventare qualcosa». Anche perché è tutto il business della musica che sta cambiando. «I dischi sono destinati a finire. Ecco perché su “Black Cat” ho fatto le cose in maniera diversa, senza strizzare l’occhio alle radio. A volte funziona fare un pezzo semplice, a volte è meglio essere egoisti senza guardare quello che chiede il mercato. Quindi niente effetti speciali ma musica suonata e cantata bene». Quella musica che lui vede sparire in secondo piano: «Si è creato ingranaggi­o strano e vizioso dove non si parla più di musica. Un musicista ormai deve comunicare e non fare musica. Ormai si riempiono stadi comunicand­o. Come se contadino si mettesse a fare il pizzo. Molti che dicono di essere musicisti dovrebbero andare a zappare. Ho un motto: più badili e meno chitarre!».

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