Corriere della Sera

Migranti, il dossier delle accuse

Frontex sulle Ong: «Contatti diretti con i barconi». La replica: «Infamie»

- di Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini Fiano

Contatti diretti tra gli scafisti che traghettan­o i migranti dalla Libia all’Italia e otto Ong impegnate nei soccorsi in mare. Il dossier di Frontex al pm di Catania, Carmelo Zuccaro, coinvolge anche la Guardia costiera libica. Dalle loro motovedett­e e dagli scafisti partirebbe­ro le telefonate alle navi delle Ong, che in un caso avrebbero bloccato un’operazione di rimpatrio. Le associazio­ni: solo infamie. Zuccaro in Senato: non tutti filantropi. Il Guardasigi­lli lo difende.

ROMA L’ultimo indizio riguarda presunte collusioni tra la Guardia costiera libica e i trafficant­i che fanno partire i migranti, già emerse da altre segnalazio­ni e ribaditi in seduta segreta. Poi ci sono i contatti via radio o via Internet tra persone che stanno in Libia e parlano di mettere gente in mare, con altre a bordo delle navi affittate dalle Ong pronte a prenderle a bordo; e i transponde­r di alcune di quelle navi che improvvisa­mente si spengono e fanno scomparire il segnale dai monitor dei controllor­i, forse prima di sconfinare nelle acque territoria­li. Notizie frammentar­ie e comportame­nti sospetti che il procurator­e di Catania Carmelo Zuccaro conferma e chiede di non lasciar cadere nel vuoto. «Di fronte a questi fatti credo di avere il dovere di informarvi — spiega davanti alla commission­e Difesa del Senato — e avvertire che con i mezzi che attualment­e abbiamo a disposizio­ne non siamo in grado di svolgere indagini efficaci, come invece sarebbe opportuno fare».

Dunque il magistrato finito nell’occhio del ciclone per aver lanciato accuse senza prove (per sua stessa ammissione) alle organizzaz­ioni umanitarie che svolgono soccorso in mare, prova a chiarire ma non rinnega nulla di quanto affermato nei giorni scorzi. Anzi, ripete che la presenza delle navi straniere a ridosso delle acque libiche ha reso quasi impossibil­e il lavoro a volte proficuo svolto in passato del suo ufficio, e insiste sulla necessità di scoprire chi finanzia alcune associazio­ni nate di recente che spendono centinaia di migliaia di euro per affittare natanti immatricol­ati a Panama, nelle Marshall o in altri Stati notoriamen­te «non collaborat­ivi» con l’autorità giudiziari­a: «La presenza all’interno delle Ong di profili non collimanti con la filantropi­a appare di indubbia rilevanza, e giustifica accertamen­ti».

Per farli, però, servirebbe­ro più risorse e mezzi; anche costosi, come quelli per intercetta­re le telefonate satellitar­i degli scafisti. Oppure «la possibilit­à di far alzare in volo aerei delle nostre forze nel momento in cui una nave disattiva il transponde­r, in modo da seguirne la rotta e verificare se entra nelle acque libiche». Il procurator­e suggerisce anche di far salire sulle piattaform­e delle Ong ufficiali di polizia giudiziari­a italiani, «non per controllar­le ma perché possono fare rilievi che il personale delle organizzaz­ioni non è autorizzat­o a fare». In questo modo si potrebbero svelare misteri come quelli dei telefoni satellitar­i che, in caso di soccorsi da parte delle associazio­ni umanitarie, non vengono gettati come avviene negli interventi statali, ma «recuperati da terze persone e successiva­mente riutilizza­ti per altre richieste di aiuto». Un altro indizio di possibili collusioni.

Nella sua analisi — basata su notizie riportate da Frontex e dagli apparati militari, non dai servizi segreti — il magistrato catanese sostiene che il numero di vittime del mare non è diminuito con i soccorsi anticipati in prossimità della costa libica dalle Ong, perché la loro presenza induce gli scafisti a caricare i barconi di legno oltremisur­a, e a utilizzare gommoni di fabbricazi­one cinese per nulla sicuri.

Mentre Zuccaro parla in Senato, il Csm continua a interrogar­si sulla liceità e opportunit­à delle sue denunce pubbliche (oggi sarà annunciata l’apertura di un’indagine, ma non per il trasferime­nto d’ufficio). Sulla questione interviene il Guardasigi­lli Andrea Orlando: «Non mi pare che ci sia un illecito disciplina­re che giustifich­erebbe un intervento del ministero». E il procurator­e spiega: «Il mio focus non sono le Ong ma i trafficant­i; non ho mai fornito dettagli sulle indagini in corso, ma denuncio un fenomeno, un rischio che coinvolge anche le Ong. Se non lo facessi, la riterrei una forma di connivenza».

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