Corriere della Sera

«Lei recita, lui insapore»

«Macron non sa di nulla, domenica non voto. Il Paese ha paura»

- Di Aldo Cazzullo

«Marine resta un pericolo, Macron non sa di niente», dice Depardieu.

Gérard Depardieu, lei, il francese più famoso al mondo, non si è ancora espresso sulla scelta storica cui è chiamata la Francia. «La fama non mi interessa: è la palestra degli egocentric­i. E non mi interessa la politica». Non è vero: lei ha sostenuto Sarkozy.

«Ma non l’ho mai votato. Ero a un suo meeting, sono salito sul palco, ho improvvisa­to due parole». «Non si dice che male di quest’uomo che non fa che del bene».

«Che tentava di fare del bene. Adesso Fillon e gli altri hanno distrutto il suo lavoro: la destra repubblica­na è a pezzi. Stimo ancora Nicolas. Se non altro, ha mostrato che per fare politica bisogna sporcarsi le mani. Non ho mai conosciuto un uomo di potere che fosse davvero onesto. Mai». Chi vota tra Marine Le Pen e Macron?

«Non voto. Ho votato una sola volta in vita mia, nel 1981: Mitterrand. Uomo straordina­riamente colto. Era quello che Hollande avrebbe voluto essere: un allievo di Machiavell­i». Hollande non lo è?

«Hollande è una caricatura di Machiavell­i con le bretelle. Une petite merde». E Marine?

«Marine Le Pen non è una minaccia; è una connerie, una stupidata. La globalizza­zione non si può fermare tornando indietro, aggrappand­osi al nazionalis­mo, gettandosi nelle braccia dell’ignoranza». Meglio Macron?

«No. Macron è come il bianco dell’uovo: non sa di niente. Anche montato da Attali e Hollande, il bianco dell’uovo continua a non avere sapore. La voce di Macron non mi arriva, non mi entra dentro. Non lo conosco, non lo capisco: vedo solo la superficie, null’altro. È rigido. Il vero duello è Monaco-Juventus, altro che il dibattito tv: un inutile show». Chi recita meglio?

«Marine. La sua voce mi arriva. È un ottimo oratore». Sarebbe una buona attrice?

«No, ma è un animale politico. Non è costruita in laboratori­o; è un tribuno di talento. Accesa da una smisurata ambizione. Ha civilizzat­o un po’ il Front National: il suo partito non è più quello del padre. Eppure c’è ancora un mauvais fond, un fondo cattivo. Una zebra non può cambiare le proprie strisce. Per questo Marine Le Pen resta un pericolo». Però lei rifiuta di scegliere.

«Perché non credo nella politica. Credo nell’uomo. Dalla crisi si esce mettendosi in gioco, affrontand­o la vita, ricomincia­ndo a sorridere, aprendosi agli altri. Io sono cresciuto in mezzo a delinquent­i, ma non mi riconosco nel romanticis­mo alla Gomorra; credo nel riscatto. La Francia oggi è un Paese spaventato. È muta, è sorda. Ha paura di tutto. È come la Francia del 1941, che si offrì a Hitler. È tornata a guardare il mondo da dietro le persiane chiuse». Lei crede nell’Europa?

«L’Europa è una meraviglio­sa utopia che domani potrebbe diventare realtà. Ma occorre un presidente d’Europa eletto dal popolo». Marine Le Pen la distrugger­ebbe.

«Non credo. In campagna elettorale ha cambiato il tiro. Non vuole più uscire dall’euro». E rivendica l’eredità di de Gaulle.

«Non ho il mito del Generale. Chi ce l’ha non ha vissuto nella Francia gollista. La borghesia conservatr­ice era insopporta­bile. La mia famiglia fu cacciata dal quartiere a calci». Lei ora ha il passaporto russo. I francesi l’hanno perdonata?

«Non sono io che abbandono la Francia, peraltro dopo aver pagato 150 milioni di tasse; sono i francesi ad abbandonar­e se stessi. Hanno perso il gusto dell’avventura. Il senso della libertà». Il motto nazionale resta libertà, uguaglianz­a, fraternità.

«La libertà non esiste più. L’uguaglianz­a è un sogno. Ci resta un po’ di fraternità; perché l’uomo, in origine e in sostanza, è buono. Comunque non ho neppure il mito della Rivoluzion­e».

Perché?

«È lastricata di cadaveri. L’esecuzione di Luigi XVI fu una tragedia. Robespierr­e e Saint-Just erano due criminali. Noi francesi dovremmo essere meno arroganti. Ci siamo comportati da criminali anche in Algeria». Allora ha ragione Macron, che parla di «crimine contro l’umanità».

«Non riuscirà a farmi parlare bene di Macron».

Cosa pensa della sua storia con Brigitte?

«È normale amare una persona più anziana. L’amore segue percorsi misteriosi. Pensi che mia nonna paterna aveva una storia con mio nonno materno». La nonna che lavorava all’aeroporto di Orly?

«Detto così pare che facesse la hostess. Invece era una dame-pipi: puliva i bagni in cambio di qualche monetina. A Orly passavo le mie vacanze. Dormivamo in una baracca in fondo alla pista d’atterraggi­o. Mi mescolavo ai viaggiator­i, guardavo i parenti in attesa». In Francia ci sono troppi immigrati?

«Dagli immigrati si può imparare molto».

Lei è stato Cyrano, Danton, e anche Strauss-Kahn. Cosa pensa di lui?

«Sarebbe stato un presidente migliore di Hollande. L’ha fregato il puritanesi­mo degli americani». Lei non ama gli americani.

«Non amo il puritanesi­mo; ad esempio detesto Tintin, un delatore; che infatti piace agli americani. Loro ostentano virtù, e poi eleggono

Trump. Che in cento giorni non ha combinato nulla». Juppé sarebbe stato un buon presidente?

«Non mi piace. È un uomo di seconda mano». Chirac?

«Simpatico. Un uomo del popolo. Costretto all’assassinio, come tutti i politici. Ma le sue mani non erano sporche di sangue». Mélenchon?

«Un altro tribuno, che sostiene idee non realizzabi­li nel mondo di oggi». Houellebec­q?

«Mi piace il suo essere dandy, il suo coraggio».

«Soumission» non è un romanzo provocator­io?

«Allora condanniam­o anche De Sade. Houellebec­q non è provocator­io; è sincero. La sua unica cosa finta sono i denti».

Nell’ultimo libro, «Innocente», lei Depardieu attacca i «filosofi con la camicia bianca». Ce l’ha con Bernard-Henri Lévy?

«Certo. Non lo sopporto. Ha chiesto di intervenir­e contro Saddam, poi contro Gheddafi, ora contro Putin». Suo grande amico.

«Non abbiamo un rapporto politico, ma spirituale. Ci scriviamo. Come me, è nato per miracolo: la casa dei suoi fu distrutta dalle bombe naziste nell’assedio di Leningrado, sua madre venne data per morta; il padre la trascinò in ospedale, la salvò. Come me, Vladimir è cresciuto per strada. Un teppista divenuto poliziotto». Perché lei è nato per miracolo?

«Mia madre non mi voleva. Scoprire che suo padre andava a letto con la suocera l’aveva sconvolta. Tentò di abortire con i ferri da calza. Non ho imparato niente, ho vissuto tutto. L’unica istituzion­e che mi ha insegnato qualcosa non è stata la scuola; è stata la gendarmeri­a». Come mai?

«Rubavo. Fui anche arrestato, per furto d’auto. I gendarmi in fondo erano benevoli. Aborrivo i ribelli del Maggio '68, che li paragonava­no alle SS». Nel '68 dov’era?

«A Parigi, ma non a contestare; ad alleggerir­e i contestato­ri di orologi e catenine. Erano tutti figli di ricchi. Mio padre vendeva L’Humanité, il giornale comunista, ma non sapeva leggerlo: era analfabeta».

Lei ha girato dieci film con Catherine Deneuve e ha avuto una storia d’amore con Carole Bouquet. Come vede le donne?

«Sono molto meglio di noi. Io sono un selvaggio, ma non un predatore: la donna va rispettata. Conta più l’amicizia del sesso. Sono molto amico di Fanny Ardant. Sono stato molto amico di Barbara». Ha anche inciso un cd con le sue canzoni.

«Si è lasciata morire. Mi ha detto: “Mi fermo. Il mio cuore non mi appartiene più”». Lei deve molto all’Italia.

«Fu Mastroiann­i a segnalarmi a Bertolucci per Novecento. Ero uno sconosciut­o ma pretesi di essere pagato 120 mila dollari come De Niro, che era già una star. Prendevo in giro Bernardo: voi registi italiani siete tutti comunisti ma girate in Mercedes... Sì, ma la mia Mercedes è rossa, rispose». Meglio Grillo o Renzi?

«Grillo non mi piace. Non mi dispiaceva Renzi, però l’errore sul referendum ha mostrato che non era poi così intelligen­te. Adoro la Toscana e la Puglia, ma ho rinunciato a comprare terre: non voglio finire come Sting a fare il Sangiovese, voglio girare il mondo».

Nel mondo ha portato Hugo, Balzac, Dumas. E Napoleone, girato in Ungheria, grazie a Orbán...

«...Allora era un uomo di sinistra. Non aveva ancora cominciato a erigere stupidi muri». C’è anche una globalizza­zione positiva, quindi.

«Certo. Ma la cultura oggi è in mano agli americani. A Cannes trovavi Jean Gabin, un francese come i francesi che piacciono; prima di girare mangiavamo selvaggina e bevevamo borgogna alle 11 del mattino. Oggi invitano Rocco Siffredi. La Francia rischia di diventare una Disneyland, dove si viene a farsi un selfie e a comprare il formaggio. La campagna sta diventando un deserto. Scompaiono i piccoli agricoltor­i. Mentre lei e io stiamo parlando qui a Montparnas­se, ci sono contadini che sudano le loro ultime energie su campi che dopo la loro morte diventeran­no il parcheggio di un supermerca­to». Chi vince domenica?

«Non lo so. La partita è aperta».

Con Vladimir Putin non abbiamo un rapporto politico, ma spirituale. Ci scriviamo. Come me, è nato per miracolo ed è cresciuto per strada. Un teppista divenuto poliziotto

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 ??  ?? Cultura Gérard Depardieu, 68 anni, attore, produttore e imprendito­re, durante una presentazi­one del suo libro a Firenze (LaPresse)
Cultura Gérard Depardieu, 68 anni, attore, produttore e imprendito­re, durante una presentazi­one del suo libro a Firenze (LaPresse)

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