Corriere della Sera

IL MOVIMENTO «DI GOVERNO» RINNEGA I POPULISMI

- Di Massimo Franco

Il vicepresid­ente della Camera, Luigi Di Maio, che saggia il terreno negli Usa; e liquida gli altri partiti populisti europei come «vecchi». Alessandro Di Battista che non si sbilancia sulle elezioni francesi «per rispetto istituzion­ale». I dirigenti che usano parole meno perentorie contro l’Unione europea e perfino contro la moneta unica. E l’annuncio, anticipato dal Corriere, che a settembre il M5S eleggerà la squadra di governo. Sono frammenti di una marcia di avviciname­nto al potere: una prospettiv­a che i Cinque Stelle vedono meno proibitiva; e, a loro dire, favorita dalla conferma di Matteo Renzi alla guida del Partito democratic­o. La sua elezione, a sentire il Movimento, aumentereb­be la speranza di arrivare al fatidico quaranta per cento e al premio di maggioranz­a. «Il Pd è il partito dei pensionati, noi dei giovani», teorizzano definendos­i di fatto i nuovi «rottamator­i»: sebbene sia una parola che a Renzi non ha portato fortuna. E intanto aspettano di capire quale sarà la ricaduta di una discussion­e della legge elettorale segnata da rinvii e veleni. Diffidano della proposta «tedesca» del Pd: la consideran­o solo un modo per prendere tempo, con l’obiettivo di «scrivere una legge contro di noi» e tentare la spallata delle elezioni anticipate.

I parlamenta­ri di Beppe Grillo chiedono che la riforma venga analizzata alla Camera e al Senato. E già avvertono che «un decreto legge per approvare il sistema elettorale sarebbe un colpo di Stato»: allusione alle voci secondo le quali, per uscire da una trattativa che tutti ritengono complicata, il governo e il Pd potrebbero essere tentati da quella soluzione. «Finché la proposta di Renzi non arriva in Commission­e, per noi non esiste», è la tesi. «Dal 4 dicembre», dopo il referendum istituzion­ale bocciato dagli elettori, «il Pd ha presentato nove proposte diverse. Come facciamo a scegliere?». Si tratta di una posizione attendista che scommette su un nervosismo crescente del vertice dem: fino a rendere chiara la volontà di andare alle urne in autunno. All’ombra di queste tensioni, il M5S liquida i compagni di strada del passato: l’Ukip inglese, la francese Marine Le Pen e il suo Front national, e lo spagnolo Podemos, come «partiti già vecchi» rispetto al Movimento di Grillo, che sarebbe nuovo in quanto «post-ideologico»; e dunque neutrale rispetto agli schieramen­ti. È un gioco d’anticipo per non isolarsi in un’Europa decisa a arginare le forze antisistem­a: al punto che Di Maio assicura di non essere contro l’Ue ma contro «l’Europa delle banche». E in tema di referendum sull’euro sfuma i toni. È una virata con contraddiz­ioni vistose. L’imbarazzo per le accuse di oscurantis­mo che perfino il New York Times rivolge a Grillo per la recente campagna contro i vaccini è palpabile. E la reazione dura del «garante» e dei suoi seguaci è significat­iva: confermano che è un nervo scoperto. Renzi e il resto del Pd incalzano il Movimento per la «figuraccia internazio­nale». Ma è difficile pensare che sia il terreno più adatto a scalfire i consensi dei Cinque Stelle. Già in passato si è visto che i toni rissosi favoriscon­o Grillo e non i suoi avversari. E disastri come quello di Alitalia e i sospetti su una manovra dem contro il governo di Paolo Gentiloni, promettono vento nelle vele grilline.

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