Campania, lo strano voto tra «record» e denunce
I pm aprono un’inchiesta a Ercolano sugli extracomunitari pro Renzi ai gazebo Orlando: oltre ogni limite, se fosse vero Boom di elettori da Salerno ad Agropoli
Meno 199 mila votanti in Emilia-Romagna, più 28 mila in Puglia. Meno 183 mila in Toscana, più 9 mila in Basilicata. Meno 111 mila in Lombardia, più 5 mila in Abruzzo. Il voto meridionale ha salvato il Pd dallo svuotamento e ridotto gli effetti del down sizing, del calo di peso e del conseguente cambio di taglia, ma la meridionalizzazione del partito potrebbe portare a Renzi, che pure al Sud ha trovato conferme da record, più problemi che soluzioni. È così non solo nel regno di Michele Emiliano, in quella Puglia sempre più antagonista dove il governatore può ora far pesare anche il suo 10% nell’assemblea nazionale del Pd, ma anche in Sicilia, dove Rosario Crocetta, già con la mente alle prossime Regionali, invia messaggi polemici al neo segretario del partito. «Qui — dice Crocetta — Renzi ha ottenuto un risultato inferiore al testo d’Italia, e questo vuol dire che è stato sconfitto anche Davide Faraone». Tradotto: «I renziani locali vorrebbero farmi fuori con le primarie, ma io sono ancora in campo e da qui non mi sposto».
Dove il terreno è più franoso è però è in Campania. E non a caso Renzi è atteso per sabato a Castelvolturno, dove ci sono più immigrati clandestini che italiani e dove domenica hanno votato solo in 160, nonostante l’amministrazione sia a guida Pd. Nella Campania di Vincenzo De Luca, però, ci sono realtà in cui Renzi sfiora addirittura il 90% dei consensi. Come ad Agropoli, dove è sindaco Franco Alfieri, passato alla storia per le fritture di pesce elettorali. O a casa del governatore campano, a Salerno, dove può capitare di sfogliare le pagine de Il Mattino e leggere, come se nulla fosse, cronache del tipo: «Vincenzo De Luca ordina e i sudditi obbediscono». Oppure: «La macchina da guerra messa in campo dal presidente della Regione ha funzionato alla perfezione». Naturalmente, il cronista c’entra poco, perché si limita a scrivere quel che vede e sa. E la realtà è appunto questa. A Salerno e provincia, dove i residenti sono un milione, hanno votato grossomodo gli stessi elettori dell’area metropolitana di Napoli, dove i residenti sono però tre volte tanto: 47 mila votanti a Salerno, 51 mila a Napoli. È un dato che non convince affatto la corrente di Orlando, pronta a farne oggetto di un ricorso. Ma è un dato che conferma il passaggio a una Campania ormai sempre più salernocentrica. Ciò che più colpisce è che ciò sia accaduto nonostante casi di forte organizzazione del voto ci siano stati anche in provincia di Napoli. A Ercolano, per esempio, dove hanno votato in 5 mila su 40 mila elettori. Un altro record, di cui il sindaco Ciro Buonajuto va fiero, ma su cui la Procura ha aperto un fascicolo per via di quei cinquanta immigrati trasportati al seggio da un vicino centro di accoglienza, e a cui qualcuno, secondo le testimonianze raccolte dal sito Fanpage, avrebbe offerto i due euro per ritirare la scheda. Ercolano a parte, resta il voto di Napoli città, dove per il Pd l’effetto down sizing è inarrestabile da anni, come ben sa, perché è il primo a guadagnarci, il sindaco de Magistris. Nel 2013 gli elettori furono 23 mila, ora sono stati 10 mila in meno, e tra questi c’è anche Antonio Bassolino, l’ex sindaco prossimo a varcare la porta di uscita del partito. Il voto di Napoli conferma che in Campania Renzi ha messo in campo — quasi a volerli sperimentare — due modelli di partito. Da una parte quello di De Luca, il cui primogenito Piero è tra i primi eletti all’assemblea nazionale; dall’altra quello, diametralmente opposto, del filosofo Biagio de Giovanni, iscrittosi al Pd, con un nutrito gruppo di intellettuali, subito dopo la sconfitta referendaria proprio per non archiviare la stagione riformista. Da una parte il partito di governo, familistico e potente; dall’altra quello da offrire come nuovo riferimento di un movimento d’opinione. A conti fatti, non vi è alcun dubbio su quale dei due modelli abbia reso di più dal punto di vista dei consensi. Da qui il problema Napoli, che resta per Renzi, nonostante l’entusiasmo dell’ultra ottantenne de Giovanni, un problema aperto.