Israele, la disfida dello «zaatar» l’erba dell’anima palestinese
«Va tutelata, non raccolta». «È nostra»
Bellicoso: «Non ci piegherete mai, resisteremo a sale e zaatar» (Ismail Haniyeh, capo di Hamas).
Poetico: «Per due pugni di pietre e zaatar / io dedico questa canzone. Ad Ahmad, dimenticato fra due farfalle» (Mahmoud Darwish).
Biblico: «Poi prenderete un mazzetto d’issopo, lo intingerete nel sangue che è nel catino e con il sangue che è nel catino spruzzerete l’architrave e i due stipiti delle porte; e nessuno di voi uscirà dalla porta di casa sua fino al mattino» (Esodo, 12:22).
Evangelico: «I soldati dunque, posta in cima a un ramo d’issopo una spugna piena d’aceto, gliela accostarono alla bocca» (Giovanni, 19:29).
Nell’insalata di controversie, contese e nostalgie territoriali che è il Medio Oriente, lo zaatar (in arabo) o eizov (in ebraico, tradotto issopo) è la pianta simbolo delle pretese politiche e delle dispute in cucina.
In questi mesi i prati della Cisgiordania e della Galilea si coprono delle foglioline grigioverdi di quello che corrisponde all’Origanum Syriacum, una varietà di maggiorana. Per i palestinesi il suo profumo diffonde la causa nazionalista, per gli ebrei esalta la liberazione dalla schiavitù in Egitto. E per uno chef israeliano come Maoz Alonim rappresenta la possibilità di ricreare sapori che uniscano invece di dividere: «Da Tel Aviv vado a far la spesa a Nazareth — spiega il proprietario di HaBasta — perché provo a proporre i piatti della cucina palestinese ai miei clienti che da anni non mettono piede in un villaggio arabo». Tra marzo e maggio lo zaatar diventa un’altra radice del conflitto che non finisce: i palestinesi vogliono ripetere i gesti vecchi di secoli (piegarsi, strappare, chiacchierare con i compagni di raccolta), le autorità israeliane cercano di proteggere un vegetale a rischio di estinzione con multe fino a 1.200 euro e confische ai posti