«Nel diario del nonno gli anni di prigionia Non ne parlava mai»
Un taccuino su un comodino. Nel suo ricordo era lì. Nicoletta però non l’ha mai toccato né sfogliato, neanche da adulta. Eppure ogni lettera su quel diario era una traccia d’inchiostro vergata da suo padre, soldato italiano catturato a Tarvisio dai nazisti e deportato in Germania in un campo di concentramento. L’autore aveva tenuto per sé la memoria dei giorni di prigionia, non ne aveva parlato con nessuno. La famiglia viene a conoscenza della sua storia solo due anni fa. Quando il diario spunta dalla borsetta che la nonna portava il giorno delle nozze e finisce casualmente nelle mani del nipote Lorenzo, figlio di Nicoletta. Il ragazzo di Arzignano (Vicenza), che oggi ha 15 anni, lo legge, si appassiona e decide di scrivere un libro. Comincia così un’altra storia.
Il nonno, Adolfo Giusti, era nato a Bonaldo di Zimella nel 1922. Quando fu catturato dai nazisti nel 1943 era guardia di frontiera a Tarvisio. Dopo un lungo viaggio in vagoni luridi pieni di altri disgraziati come lui arrivò a Francoforte. Sul taccuino ritrovato c’è scritto a penna «Per memoria. Germania 1944». Dentro alcune date, i nomi di qualche luogo e la cronaca dei patimenti subiti a Stalag IX-B, il campo di concentramento poco distante dalla città di Goethe.
Lorenzo frequenta il Liceo Scientifico Leonardo da Vinci. Parla del ritrovamento a un professore, Antonio Montepaone, che insegna religione e che lo incoraggia: «È un documento storico importante. Non è solo la vicenda privata. Perché non scrivi un libro?».
Trova la tessera (numero 14973) dell’associazione nazionale ex internati, ascolta la testimonianza della sorella del nonno, segue le tracce di un commilitone che abitava a Milano e che Giusti dopo la guerra andava a trovare, consulta l’Archivio di Stato a Verona dove ritrova il fascicolo con il nome del nonno. Dentro ci sono le dichiarazioni rilasciate dal deportato al distretto militare e le lettere che inviava da Tarvisio e dalla Germania ai suoi genitori. Leggendo le lettere Lorenzo è colpito dal tono: «Scriveva ai suoi senza mai parlare di sé. Chiedeva notizie dei fratelli. Come se volesse lui confortare la famiglia».
Della guerra il deportato Giusti non parlava mai. Solo qualche accenno a una ferita provocata dalla scheggia lunga 20 centimetri che gli si era conficcata nella schiena. «Riuscì a fuggire dal campo e per i dolori alla schiena un suo amico lo portò in spalla in ospedale. Ma quando i tedeschi capirono che non era uno di loro lo rispedirono indietro».
Su Google Maps Lorenzo ha individuato il luogo di prigionia. C’è ancora lo stabile. Ha in mente di andarci, partendo da Tarvisio. «Mio nonno merita la Medaglia d’onore degli ex deportati, perché era un buono. Nel suo diario non c’è mai rabbia». «Mio figlio è sensibile», lo interrompe sua madre. Lorenzo riprende: «Non parla dei suoi aguzzini. Rifletteva sul dolore. Forse cercava una risposta alla cattiveria».