I veri «spagnoleschi» siamo noi
Caro Aldo, come mai nessuna formazione politica, nemmeno gli anti-casta 5 Stelle, prende l’iniziativa per abolire il termine di «onorevole» dal linguaggio parlamentare? Gli eletti alla Camera si chiamano deputati, gli eletti al Senato senatori. Se poi qualcuno di loro è veramente «onorevole» avrà modo di dimostrarlo nel corso del mandato. Tra l’altro mi sembra che non siano nemmeno necessarie leggi o decreti, ma basti una modifica dei regolamenti parlamentari. Allo stesso modo, il termine «presidente» andrebbe riservato agli ex capi dello Stato e non a chiunque abbia ricoperto una qualsiasi presidenza, anche di una Pro Loco. Qualcuno obbietterà che c’è altro a cui pensare, ma a me sembra un piccolo grande segnale di una diminuzione del servilismo atavico che contraddistingue il popolo italiano e di una sua evoluzione verso l’essere meno sudditi e più cittadini. Pino Faraci, Acqui Terme (Al) Caro Pino, quando nel 2008 andai a intervistare il primate di Spagna, che allora era il cardinale Antonio Cañizares, rimasi colpito dal fatto che tutti, preti e fedeli, lo chiamassero «don Antonio» e non Eccellenza o Eminenza, come in Italia. I veri spagnoleschi siamo noi. Questo vale a maggior ragione per gli onorevoli. Ricordo un titolo dell’Espresso anni 80: «La disonorevole Cicciolina». Un titolo che tanti altri negli anni a venire avrebbero meritato.
SCUOLA
«Gli studenti devono impegnarsi di più» Da studente di un liceo sgangherato e sprovvisto di tutto, ho trovato maggiori stimoli a studiare seriamente. Oggi tutto è dovuto e preteso dalla scuola. Tuttavia, di tutti i sacrosanti provvedimenti avanzati per curarne i mali, raramente sento proporre quello fondamentale, cioè il maggiore impegno di studenti (e di insegnanti?). Gramsci ha detto che la scuola è il principale (unico?) mezzo per mitigare le disuguaglianze sociali. Una scuola che non premia il merito non mi pare idonea a preparare i ragazzi alla gara truccata che è la vita, specie in epoca di accentuata globalizzazione e di spietata concorrenza.
Francesco Lovino Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
la Francia ha una buona legge elettorale, a doppio turno: al primo c’è spazio per la rappresentanza; al secondo si converge per la governabilità. Chi ha perso, ha perso. E il 7 maggio si voterà per stabilire se l’Europa deve finire o andare avanti. Qui in Italia ci rosoliamo nel dibattito tra Italicum e qualcosaltrum, per trovare una legge elettorale. Alle prossime elezioni vinceranno tutti. E voteremo in pochi.
Caro Massimo,
Magari in Parlamento si stesse davvero cercando una legge elettorale. Il presidente Mattarella ha fatto bene a richiamare questa necessità; c’è da dubitare che sarà ascoltato.
Le confesso che non amo l’elogio degli altri Paesi, contrapposto allo sfascio italico. Ma questa volta non mi sento di darle torto.
Non esiste un sistema perfetto. Il doppio turno crea una semplificazione, a volte una torsione: nel 2002 Chirac al primo turno prese meno del 20%, al ballottaggio oltre l’80 (Chirac si è presentato a quattro presidenziali, due le ha vinte, ma al primo turno è sempre rimasto tra il 18 e il 20,8%). L’uninominale a turno unico moltiplica la forza del vincitore: se i sondaggi saranno rispettati, a Westminster l’8 giugno resteranno in pratica due soli partiti, i conservatori e i separatisti scozzesi. Ma il proporzionale puro — con cui di fatto voteremo alle prossime elezioni, in autunno o nel febbraio 2018 — è un disastro. In particolare in un Paese con una spiccata tendenza alla divisione e alla frammentazione, come l’Italia.
Nella Prima Repubblica la continuità era garantita dalla presenza di un grande partito, «condannato» a governare dalla pregiudiziale anticomunista: il mondo era diviso in blocchi, in Italia era arrivata la Quinta Armata, e noi stavamo (per fortuna) da questa parte della cortina di ferro; si sapeva già come sarebbe andata a finire. Ma ora il quadro è disperante.
Ovviamente nessuna lista arriverà al 40%. Fare un governo sarà pressoché impossibile. Larghe intese Pd-Berlusconi? Sarebbero molto striminzite. Accordo Pd-Cinque Stelle? Sono i due partiti che si odiano di più. Governo sovranista GrilloSalvini-Meloni? Auguri.
Una legge che potrebbe rendere le cose più semplici esiste. Porta il nome dell’attuale capo dello Stato. Crea un legame tra eletto ed elettore. Ma i collegi uninominali non torneranno. Per un semplice motivo: bisogna vincerli; e nessuno è al sicuro. Vuoi mettere la comodità di scegliere i capilista bloccati nel chiuso delle segreterie?