Corriere della Sera

Autarchici, populisti, italiani Abitudini e timori del Paese, soprattutt­o nei confronti della Ue, in tempo di crisi

- Di Federico Fubini

Se una cifra è rimasta impressa a fuoco nella mente di centinaia di milioni di donne e uomini nella crisi degli ultimi dieci anni, essa riguarda la (percepita) cecità degli economisti. Considerat­i attenti ai numeri, ma non alle realtà sociali che ribollono sotto di essi. Disprezzat­i perché innamorati dei loro modelli su come dovrebbe funzionare quel coacervo di interessi, consenso e regole che è una democrazia. Mal sopportati com’è destino di tutti gli «esperti», secondo la sprezzante espression­e con la quale i fautori della Brexit si sono imposti nel referendum nel Regno Unito.

Forse anche per questo Lorenzo Bini Smaghi sceglie di spiazzare nel suo ultimo libro, La tentazione di andarsene (il Mulino). Bini Smaghi, da anni firma del «Corriere», è una personalit­à nota in Italia e in Europa per le sue qualità di economista: dirigente del Tesoro in un momento di fulgore di quella amministra­zione con Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi; parte dell’esecutivo della Banca centrale europea negli anni di presidenza di Jean-Claude Trichet; oggi presidente di Société Générale e visiting scholar a Harvard.

Bini Smaghi spiazza nel suo saggio perché non si limita a parlare di economia, ma va oltre. E non risparmia né i partiti, né i riflessi condiziona­ti delle istituzion­i italiane, né i tanti che diffondono presunte verità destinate a intossicar­e il discorso pubblico. La tentazione di andarsene (ovviamente, dall’euro) analizza la crisi anche con gli strumenti della psicologia e della politica, per mettere a nudo una «dissonanza cognitiva» sempre più diffusa. La sensazione di sfasamento dalla realtà, di cui parla l’autore, riguarda il posto dell’Italia in Europa e le cause dei problemi che da decenni affliggono l’economia e la struttura sociale di un sistema rimasto indietro rispetto ai suoi pari. «La divergenza economica trova una corrispond­enza nell’atteggiame­nto dei cittadini verso le istituzion­i europee — scrive Bini Smaghi —. Dall’essere fra i principali sostenitor­i dell’Unione Europea, gli italiani sono diventati fra i più critici». Ma questo cambio di umore appare contraddit­torio se si guarda ai problemi che fanno del Paese un caso (quasi) unico nell’area euro. Infatti «se l’Italia cresce meno degli altri partner, pur benefician­do delle stesse condizioni ed essendo sottoposta agli stessi vincoli, le difficoltà non dovrebbero provenire dalle istituzion­i europee». Ma appunto si innesta qui la prima, feroce critica di Bini Smaghi: «Questa contraddiz­ione — scrive — si spiega in parte con una forma di dissonanza cognitiva che spinge il Paese a negare qualsiasi addebito riguardo allo stato in cui versano la società e l’economia».

Rimuovere i problemi giocando con le statistich­e o darne la colpa ad altri — meglio se a Bruxelles o a Berlino — è la dieta politica di base di qualunque movimento populista di destra, sinistra, centro o di tutte queste posizioni insieme. Nasce così il secondo, severo affondo di Bini Smaghi. «Quando la realtà dei problemi non può più essere nascosta — osserva — rimane un’ultima cartuccia: il capro espiatorio. Tende sempre più a diffonders­i l’idea che l’Italia sia nella condizione in cui si trova per colpa dell’Europa (…). Secondo questa tesi, un’Italia troppo forte darebbe fastidio». Dunque, «forze esterne si sarebbero alleate per fare di noi una colonia». Niente in queste versioni sembra compatibil­e con l’evidenza che tutti i Paesi sono sottoposti alle stesse regole, con esiti diversi. Peraltro Bini Smaghi smonta, dati alla mano, la leggenda metropolit­ana, una di più, secondo cui la Spagna crescerebb­e di più perché il suo deficit pubblico è più alto: da anni il governo di Madrid somministr­a agli elettori dosi maggiori di cosiddetta «austerità».

Ma il cuore della riflession­e resta politico. Bini Smaghi cita un giudizio formulato da Guido Carli nel 1993: «Una delle eredità più persistent­i della cultura autarchica, fascista, è senza dubbio la sindrome del complotto internazio­nale».

Dove porta tutto questo? È la parte finale del pamphlet, che non dovrebbero perdersi neppure coloro che non saranno d’accordo. Porta, prevedibil­mente, alla caduta della fiducia degli italiani verso tutte le istituzion­i. Interne ed europee. Un difetto nazionale che «parte dall’alto, dalla classe politica, che spesso si tira indietro al sorgere delle difficoltà». L’autore spiega così l’anomalia tutta italiana dei governi di non eletti, i «tecnici», chiamati a compiere le scelte impopolari di cui i politici non vogliono la responsabi­lità. Si spiega così anche la tendenza ad affidarsi ai «tecnici» invece di affrontare elezioni in fasi di crisi come nel 2011. Ma «la mancanza di fiducia in se stessa — o la mancanza di coraggio — della classe politica, si traduce in immobilism­o», avverte Bini Smaghi. Alla lunga il rischio è che anche ciò che resta della classe dirigente finisca per inseguire il populismo sul suo terreno, perdendo ulteriore credibilit­à. E dopo anni di accuse, alla fine i cittadini si convincano a decretare il proprio autoisolam­ento dall’Europa. Un tempo, appunto, la chiamavano autarchia.

Quando i problemi non possono essere più nascosti, resta la cartuccia del capro espiatorio Dall’essere fra i principali sostenitor­i dell’Unione Europea, gli italiani sono diventati fra i più critici

Una sfiducia che parte dalla classe politica, che spesso si tira indietro al sorgere delle difficoltà

 ??  ?? Francesco Clemente (1952), Here and now (2004, olio su tela, particolar­e), courtesy dell’artista. Dal catalogo della mostra Francesco Clemente. Frontiera di immagini (Palermo, Palazzo Sant’Elia, 2013)
Francesco Clemente (1952), Here and now (2004, olio su tela, particolar­e), courtesy dell’artista. Dal catalogo della mostra Francesco Clemente. Frontiera di immagini (Palermo, Palazzo Sant’Elia, 2013)
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