Corriere della Sera

Il romanzo di Wanda Marasco edito da Neri Pozza Madre e figlia tra i demoni di Napoli Il dramma eterno delle «anime finte»

- Di Carlo Baroni

Le mamme non si scelgono. Te le trovi già pronte. Buone o cattive. Invidiose di te o pronte a farti volare. Di mamme ce n’è sempre più di una. Quella che vorresti avere. O l’altra che ti ha rovinato la vita. Senza saperlo, senza volerlo. O non così. E poi dietro una mamma c’è sempre un’altra mamma. E allora capisci tante cose. Rosa è una figlia. Venuta su con poco. Poco affetto, poco denaro, poco futuro. E intorno tante storie che raccontarl­e è meglio che farsi spiegare i tuoi perché da uno psicologo.

La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco è un valzer senza musica con la vita. Per ballare hai bisogno dei ricordi, dei passi perduti che ti tornano in mente. Rosa guarda. Forse impara. Il giorno del bilancio capisce molto, o forse, ancora niente. Vincenzina, la mamma lontana e vicina. Così diversa da lei. Una donna di un altro tempo, sempre in ritardo e, talvolta, in anticipo. Si innamora dell’uomo giusto che è anche quello sbagliato. Rafele, una famiglia col cognome da quartieri alti. Un lavoro che gli resta appiccicat­o tutta la vita. Ragioniere, lui che voleva fare il pittore. L’anima d’artista che fa a pugni con la sua viltà del cuore. Incapace di affrontare una madre arcigna, di mettersi alla pari con i fratelli, persino con il gemello, parlarsi da uomo a uomo con il padre. In una Capodimont­e che è Napoli quando ti abbaglia. E può essere per un sole sfavillant­e o una luce che ti rovina gli occhi.

Vincenzina la famiglia ce Chiara Coccorese (Napoli, 1982), Spettri (2012, stampa pigmento su carta cotone), courtesy dell’artista

l’ha. Ma è meglio non farlo sapere in giro. Un padre morto ammazzato e adultero. Anzi la morte è l’unico gesto nobile di una vita che è meglio seppellire. Una madre nata con le forbici. Per tarpare le ali alle figlie insieme ai vestiti della festa. E mandarle fuori di matto. Iolanda che finisce al manicomio, Vincenzina che si «salva» prima. Va via dal paese per vedere a Napoli se il destino ha una strada sola.

Lei e Rafele, due diversi che

si scoprono, sono costretti a trovarsi uguali. E sposarsi è la prima scelta vera. Quella per tagliare i ponti che poi ti accorgi che i fiumi della vita non finiscono mai. Rosa è davanti al palco e anche su a recitare. Una parte che non sente sua. Per dirlo dovrà vedere Vincenzina sul letto di morte. Per raccontarl­e quello che è stato e l’altro che poteva essere. Senza rancore, né rimpianti. È solo andata così. E neanche la sorte si può incolpare. Non è colpa

tua se sei nata in quella casa e con due genitori che non ti sei scelta ma qualcosa potevi fare lo stesso.

Rosa si trova amiche fuori dal coro. Senza ascoltare la madre. Che vuole proteggerl­a. O più sempliceme­nte non avere problemi. Chiamatelo egoismo. Che le madri ti devono proteggere e amare ma non tutte lo fanno alla stessa maniera. A Vincenzina in fondo non puoi non voler bene. Capirla o almeno comprender­la. Ci sono ferite che contagiano chi ti sta vicino. E può essere un figlio o un marito. Vincenzina che ce la vuole fare. E tiene a bada madre e suocera. Una vittoria che fa male.

Agli occhi di Rosa è lei la figura di riferiment­o. Quella che trova la soluzione ai problemi. E non è detto che sia quella giusta. Rafele ne esce male. Ai margini, defilato anche quando è protagonis­ta. È lui a scegliere Vincenzina. E a tradirla.

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