Il romanzo di Wanda Marasco edito da Neri Pozza Madre e figlia tra i demoni di Napoli Il dramma eterno delle «anime finte»
Le mamme non si scelgono. Te le trovi già pronte. Buone o cattive. Invidiose di te o pronte a farti volare. Di mamme ce n’è sempre più di una. Quella che vorresti avere. O l’altra che ti ha rovinato la vita. Senza saperlo, senza volerlo. O non così. E poi dietro una mamma c’è sempre un’altra mamma. E allora capisci tante cose. Rosa è una figlia. Venuta su con poco. Poco affetto, poco denaro, poco futuro. E intorno tante storie che raccontarle è meglio che farsi spiegare i tuoi perché da uno psicologo.
La compagnia delle anime finte di Wanda Marasco è un valzer senza musica con la vita. Per ballare hai bisogno dei ricordi, dei passi perduti che ti tornano in mente. Rosa guarda. Forse impara. Il giorno del bilancio capisce molto, o forse, ancora niente. Vincenzina, la mamma lontana e vicina. Così diversa da lei. Una donna di un altro tempo, sempre in ritardo e, talvolta, in anticipo. Si innamora dell’uomo giusto che è anche quello sbagliato. Rafele, una famiglia col cognome da quartieri alti. Un lavoro che gli resta appiccicato tutta la vita. Ragioniere, lui che voleva fare il pittore. L’anima d’artista che fa a pugni con la sua viltà del cuore. Incapace di affrontare una madre arcigna, di mettersi alla pari con i fratelli, persino con il gemello, parlarsi da uomo a uomo con il padre. In una Capodimonte che è Napoli quando ti abbaglia. E può essere per un sole sfavillante o una luce che ti rovina gli occhi.
Vincenzina la famiglia ce Chiara Coccorese (Napoli, 1982), Spettri (2012, stampa pigmento su carta cotone), courtesy dell’artista
l’ha. Ma è meglio non farlo sapere in giro. Un padre morto ammazzato e adultero. Anzi la morte è l’unico gesto nobile di una vita che è meglio seppellire. Una madre nata con le forbici. Per tarpare le ali alle figlie insieme ai vestiti della festa. E mandarle fuori di matto. Iolanda che finisce al manicomio, Vincenzina che si «salva» prima. Va via dal paese per vedere a Napoli se il destino ha una strada sola.
Lei e Rafele, due diversi che
si scoprono, sono costretti a trovarsi uguali. E sposarsi è la prima scelta vera. Quella per tagliare i ponti che poi ti accorgi che i fiumi della vita non finiscono mai. Rosa è davanti al palco e anche su a recitare. Una parte che non sente sua. Per dirlo dovrà vedere Vincenzina sul letto di morte. Per raccontarle quello che è stato e l’altro che poteva essere. Senza rancore, né rimpianti. È solo andata così. E neanche la sorte si può incolpare. Non è colpa
tua se sei nata in quella casa e con due genitori che non ti sei scelta ma qualcosa potevi fare lo stesso.
Rosa si trova amiche fuori dal coro. Senza ascoltare la madre. Che vuole proteggerla. O più semplicemente non avere problemi. Chiamatelo egoismo. Che le madri ti devono proteggere e amare ma non tutte lo fanno alla stessa maniera. A Vincenzina in fondo non puoi non voler bene. Capirla o almeno comprenderla. Ci sono ferite che contagiano chi ti sta vicino. E può essere un figlio o un marito. Vincenzina che ce la vuole fare. E tiene a bada madre e suocera. Una vittoria che fa male.
Agli occhi di Rosa è lei la figura di riferimento. Quella che trova la soluzione ai problemi. E non è detto che sia quella giusta. Rafele ne esce male. Ai margini, defilato anche quando è protagonista. È lui a scegliere Vincenzina. E a tradirla.