Corriere della Sera

Grande Torino, grande Buffon

- di Massimo Gramellini

Per un malato di Toro elogiare una bandiera della Juve è come per Fonzie dover chiedere scusa, ma bisogna rendere omaggio a una paratona di Gigi Buffon, che negli ultimi giorni ne ha colleziona­te anche troppe. Il capitano bianconero ha stigmatizz­ato le scritte che deridevano i caduti del Grande Torino con cui qualche ignoto aveva insozzato i muri della strada che sale alla basilica di Superga, dove l’aereo di quello squadrone si schiantò. L’esempio di Buffon (e di Marchisio, altro juventino doc) è stato contagioso. Persino il web, discarica di ogni flatulenza umana, si è riempito di tifosi bianconeri indignati dall’oltraggio e di granata pronti a prendere le distanze da un demente della loro parrocchia che ne aveva subito approfitta­to per sbertuccia­re i defunti dell’Heysel.

Siamo abituati a considerar­e il calcio una zona franca in cui non valgono le regole della convivenza civile. Però esiste un limite alla trasgressi­one ed è il rispetto per i morti. Lì il gioco diventa serio e non fa più ridere. Con al collo la cravatta ufficiale del Real Madrid (ho una cara zia che abitava nel principato di Monaco, ma ora si trasferirà in Spagna), rivendico il diritto alla presa in giro e la portata liberatori­a di un sano sfottò. Ma tra lo sfottò e l’odio esiste un confine, per quanto sottile come tutti quelli tracciati dall’intelligen­za. Chi lo calpesta rovina l’intero quadro. Buffon, che aveva iniziato la sua eccezional­e carriera indossando la maglietta «Boia chi molla», la chiude con un gesto così. Oltre che adulto è diventato grande, in un mondo che invece gode nel restare piccino.

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