La Ue fa bene a essere dura con Londra
Brexit L’Europa deve assolutamente dimostrare che le dimissioni di un socio sono difficili e costose La premier britannica, invece, ha bisogno di un mandato forte per trattare efficacemente con Bruxelles
L’Unione Europea, per sopravvivere, non ha altra scelta fuor che quella di dimostrare al primo ministro britannico, Theresa May, e agli altri Paesi, che la Brexit sarà laboriosa e costosa.
Al primo ministro britannico, quando accusa l’Unione Europea di trattare il suo Paese con minacciosa durezza, ricorderei una vicenda che appartiene alla storia dei popoli di lingua inglese.
Fra il gennaio e il maggio 1861, alcuni membri del grande Stato nordamericano (Mississippi, Florida, Alabama, Giorgia, Louisiana, Texas, Virginia, Arkansas, Tennessee e Carolina del Nord) decisero di imitare la Carolina del Sud, uscita dalla Federazione nel dicembre dell’anno precedente. In aprile, dopo un primo scontro militare nel porto di Charleston, il presidente Lincoln chiamò alle armi 75.000 uomini. Scoppiò un conflitto che si sarebbe protratto sino all’aprile del 1865 e sarebbe stato uno dei più sanguinosi del XIX secolo.
Quella non fu la prima «guerra di secessione». Poco meno di venti anni prima, sette cantoni della Svizzera cattolica avevano formato una lega (il Sonderbund) e si erano battuti contro i cantoni protestanti sino alla pubblicazione di una nuova Costituzione nel settembre del 1848. I due episodi dimostrano che la rottura di un legame federale è sempre un evento traumatico e pericoloso.
L’Unione Europea non è, formalmente, una Federazione, ma ha due caratteristiche che sono proprie degli Stati federali. Ha più leggi comuni e politiche unitarie di quante ne avessero gli Stati Uniti e la Svizzera alla vigilia dei loro conflitti; è stata costruita sulla base di un progetto federale a cui i suoi Stati fondatori, anche quando appaiono esitanti e tardivi, non intendono e non possono rinunciare. Non è difficile, quindi, comprendere le sue reazioni. Per una Federazione l’uscita di un membro, soprattutto quando ha l’importanza del Regno Unito, non è un semplice incidente di percorso.
Può essere, agli occhi di molti, la prova di uno scacco, una implicita dimostrazione della fragilità dell'Unione. In un momento in cui ogni Paese della Ue ha nel proprio sistema politico partiti e movimenti
euroscettici, se non addirittura ostili alla integrazione europea, la decisione britannica può diventare il primo scricchiolio di un edificio destinato a crollare su se stesso.
Il ricorso alla guerra, come nel caso della Svizzera e degli Stati Uniti, appartiene ad altri tempi ed è fortunatamente, fra europei del XXI secolo, inimmaginabile. Ma l’Unione, per sopravvivere, non ha altra scelta fuor che quella di dimostrare al socio dimissionario e al resto dell’Europa che l’uscita sarà laboriosa e costosa.
Questo spiega perché l’Ue pretenda dalla Gran Bretagna il pagamento di tutti gli impegni e debiti contratti quando era membro dell’Unione per una somma che potrebbe avvicinarsi a cento miliardi di euro. E spiega perché Bruxelles rifiuti di aprire negoziati per un nuovo partenariato prima che Londra abbia interamente saldato le spese del divorzio.
Il Primo ministro britannico, nel frattempo, ha deciso di rendere il rapporto ancora più teso e imbrogliato. Per rafforzare se stessa all’interno di un Parlamento in cui la componente europeista è ancora considerevole, Theresa May scioglie la Camera dei Comuni e s’impegna in una campagna
elettorale in cui i temi dominanti saranno inevitabilmente nazionalisti. Spiegherà ai suoi elettori che soltanto un forte mandato le permetterà di battersi efficacemente con i burocrati di Bruxelles.
Ma alla fine della campagna elettorale avremo assistito alla riapparizione di una Inghilterra «gingoista», come erano chiamate le folle scioviniste in epoca vittoriana. E la Manica diventerà molto più larga di quanto fosse negli anni in cui la Gran Bretagna sacrificava almeno in parte la sua insularità per avvicinarsi al continente con la costruzione di un tunnel sottomarino.
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