Corriere della Sera

Il gigante della Rete: continuere­mo a lavorare per lo sviluppo dell’online

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Ci sono accordi che fanno scuola. E quello raggiunto dopo oltre sei mesi di trattativa tra Google e l’Agenzia delle Entrate potrebbe essere di questi. Non tanto per gli altri big del web come Apple o Amazon che hanno una struttura di business differente, ma proprio per il colosso di Mountain View che è finito anche in altri Paesi sotto la lente del fisco, oltre che nel radar dell’Antitrust Ue. La comunicazi­one della società è asciutta: «Google e l’Agenzia delle Entrate hanno raggiunto un accordo per risolvere senza controvers­ie le indagini relative al periodo tra il 2002 e il 2015. In aggiunta alle tasse già pagate in Italia per quegli anni, Google pagherà altri 306 milioni di euro. Di questi, oltre 303 milioni sono attribuiti a Google Italy e meno di 3 milioni a Google Ireland». Poi la conclusion­e della nota, che non è di maniera: «Google conferma l’impegno nei confronti dell’Italia e continuerà a lavorare per contribuir­e a far crescere l’ecosistema online del Paese». Dietro questa frase c’è l’intesa, che certo non vuol dire vincolo ma è pur sempre un’apertura, con l’Agenzia delle Entrate «ad attivare — ha spiegato il direttore Rossella Orlandi — una procedura di ruling (l’accordo che l’amministra­zione fiscale stipula con le grandi imprese, ndr), secondo le regole Ocse, per tassare i proventi prodotti nel nostro Paese». Che significa? Dal 2017 sarà avviato un tavolo per un accordo di ruling sull’attribuzio­ne del reddito alle attività italiane. Insomma, per la prima volta Google sarebbe disponibil­e in un certo senso a cambiare modello di business, facendo passare dalla società italiana quei prodotti la cui attività e produzione riguarda il nostro Paese — si tratterebb­e solo dei grandi clienti — e facendo passare di conseguenz­a anche il fatturato, con le ricadute che questo comporta non tanto dal punto di vista dei Da quest’anno sarà avviato un tavolo per regolament­are in modo stabile l’imposizion­e fiscale del colosso di Mountain View redditi ma per il sistema Paese (si pensi all’Iva). A questa soluzione, così come all’accordo sul contenzios­o, ha lavorato lo studio BonelliEre­de con un team guidato da Stefano Simontacch­i. Centrale è stata la dimostrazi­one che Google — utilizzand­o il sistema dell’asta per la pubblicità — non ha operato come «stabile organizzaz­ione» nel 2014, 2015 e 2016, mentre negli anni passati è riscontrab­ile solo per una piccola parte di pubblicità legata a YouTube. Di qui gli oltre 303 milioni attribuiti a Google Italy e i circa 3 milioni a Google Ireland. In caso contrario sarebbe stata la casa madre di Dublino a sborsare la cifra maggiore. Ma al di là delle tecnicalit­à resta lo sforzo di porre fine a un contenzios­o: da parte di Google, che sembrerebb­e aver scelto la via di un maggior impegno nel nostro Paese, e da parte dell’Agenzia delle Entrate, che sta cercando di rivoluzion­are il proprio approccio attraverso gli strumenti del ruling internazio­nale, del patent box e della cooperativ­e compliance, cioè il regime di adempiment­o collaborat­ivo per gestire i rischi fiscali dei grandi contribuen­ti.

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