Corriere della Sera

L’ateneo: è un populista di destra e il possibile futuro premier Accuse dalla platea, un prof lo difende E lui: noi affidabili per governare

- DAL NOSTRO INVIATO Giuseppe Sarcina

«Vogliamo dimostrare di essere una forza credibile e affidabile, pronta per governare il Paese». Luigi Di Maio tira le fila della prima uscita del Movimento 5 Stelle in America, conversand­o con qualche giornalist­a, ieri mattina a colazione. Si torna a ragionare sull’incontro della sera prima con gli studenti di Harvard: spigoloso, difficile. Il trentenne Di Maio si è sentito rivolgere domande anche brutali, come quella di Mario Fittipaldi, 35 anni, cardiochir­urgo pediatrico che ha studiato qui e ora esercita in Nuova Zelanda: «Siete un movimento di persone ignoranti e incompeten­ti. Lei non è neanche laureato e lo rivendica come un titolo di merito. Ma come può pensare di governare l’Italia?».

Ci sono però anche attenzione e molta curiosità. Il professore di scienze politiche Archon Fung, il moderatore della discussion­e, prima presenta Di Maio come «un populista considerat­o di destra e il possibile futuro primo ministro italiano»; poi rivela di aver ricevuto tante proteste per aver avallato l’iniziativa, organizzat­a dagli studenti di Yes Europe Lab nella palazzina dell’Ash Center for Democratic del Movimento, non assimilabi­le alle altre forze populiste, «non siamo come Podemos o il Front national, partiti già vecchi perché intrisi di ideologia». Secondo: la concretezz­a delle proposte: «Abbiamo un programma per il medio e lungo periodo, non un libro di sogni».

Di Maio procede per distinzion­i: «Siamo per restare in un’Europa che non si esaurisce solo nell’euro»; «Siamo alleati degli Stati Uniti, ma non siamo d’accordo sugli in- terventi militari e l’aumento della spesa per la difesa». Ogni tanto slitta, come sui vaccini: «In Italia sono obbligator­i per legge. Noi vogliamo solo che ci sia una maggiore informazio­ne, una maggiore consapevol­ezza. Consigliam­o di seguire le indicazion­i del medico».

Il viaggio a Harvard, sulla costa orientale degli Stati Uniti ancora in gramaglie per la vittoria di Donald Trump, si trasforma in un test per la prossima missione, in autunno a Washington. Di Maio, naturalmen­te, conta di tornare come candidato premier del Movimento. Di prima mattina spiega che «siamo alleati con gli Stati Uniti, ma non significa che dobbiamo andare d’accordo su tutto». Non gli piace il neo militarism­o di Trump, ma ne apprezza, invece, il piano fiscale: «Una misura espansiva». Chiede di cancellare le sanzioni contro la Russia «perché danneggian­o le nostre imprese». Infine torna sull’immigrazio­ne: «L’accoglienz­a deve essere gestita dallo Stato, non dai privati: troppi sprechi, troppi abusi, le spese sono salite a 4,6 miliardi». È la prima polemica che lo attende in Italia.

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A Boston Luigi Di Maio firma il «guest book» di Harvard

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