L’ateneo: è un populista di destra e il possibile futuro premier Accuse dalla platea, un prof lo difende E lui: noi affidabili per governare
«Vogliamo dimostrare di essere una forza credibile e affidabile, pronta per governare il Paese». Luigi Di Maio tira le fila della prima uscita del Movimento 5 Stelle in America, conversando con qualche giornalista, ieri mattina a colazione. Si torna a ragionare sull’incontro della sera prima con gli studenti di Harvard: spigoloso, difficile. Il trentenne Di Maio si è sentito rivolgere domande anche brutali, come quella di Mario Fittipaldi, 35 anni, cardiochirurgo pediatrico che ha studiato qui e ora esercita in Nuova Zelanda: «Siete un movimento di persone ignoranti e incompetenti. Lei non è neanche laureato e lo rivendica come un titolo di merito. Ma come può pensare di governare l’Italia?».
Ci sono però anche attenzione e molta curiosità. Il professore di scienze politiche Archon Fung, il moderatore della discussione, prima presenta Di Maio come «un populista considerato di destra e il possibile futuro primo ministro italiano»; poi rivela di aver ricevuto tante proteste per aver avallato l’iniziativa, organizzata dagli studenti di Yes Europe Lab nella palazzina dell’Ash Center for Democratic del Movimento, non assimilabile alle altre forze populiste, «non siamo come Podemos o il Front national, partiti già vecchi perché intrisi di ideologia». Secondo: la concretezza delle proposte: «Abbiamo un programma per il medio e lungo periodo, non un libro di sogni».
Di Maio procede per distinzioni: «Siamo per restare in un’Europa che non si esaurisce solo nell’euro»; «Siamo alleati degli Stati Uniti, ma non siamo d’accordo sugli in- terventi militari e l’aumento della spesa per la difesa». Ogni tanto slitta, come sui vaccini: «In Italia sono obbligatori per legge. Noi vogliamo solo che ci sia una maggiore informazione, una maggiore consapevolezza. Consigliamo di seguire le indicazioni del medico».
Il viaggio a Harvard, sulla costa orientale degli Stati Uniti ancora in gramaglie per la vittoria di Donald Trump, si trasforma in un test per la prossima missione, in autunno a Washington. Di Maio, naturalmente, conta di tornare come candidato premier del Movimento. Di prima mattina spiega che «siamo alleati con gli Stati Uniti, ma non significa che dobbiamo andare d’accordo su tutto». Non gli piace il neo militarismo di Trump, ma ne apprezza, invece, il piano fiscale: «Una misura espansiva». Chiede di cancellare le sanzioni contro la Russia «perché danneggiano le nostre imprese». Infine torna sull’immigrazione: «L’accoglienza deve essere gestita dallo Stato, non dai privati: troppi sprechi, troppi abusi, le spese sono salite a 4,6 miliardi». È la prima polemica che lo attende in Italia.