PD IN APPOGGIO AL GOVERNO CON LA VARIABILE DELLE RIFORME
Dire che le elezioni «sono lontane come prima» e che «il governo si è rafforzato» con la conferma di Matteo Renzi alla segreteria del Pd, trasmette l’immagine di un partito pacificato. Le parole, d’altronde, sono del ministro Dario Franceschini, uno degli alleati renziani più influenti; e anche un uomo di raccordo tra il vertice dem e il Quirinale. La conferma di questa tregua sul voto dovrebbe arrivare domenica dall’assemblea nazionale.
Le previsioni parlano di un Renzi intenzionato a dichiarare il massimo appoggio al premier Paolo Gentiloni. Per ora, il sentiero delle urne rimane stretto; e strettamente collegato con le prospettive della riforma elettorale. E se nel Pd davvero c’è chi continua ad accarezzare l’ipotesi di una fine anticipata della legislatura, non può farlo contro Palazzo Chigi. Semmai, dimostrando che gli avversari non consentono al premier di governare; e, a livello parlamentare, boicottano qualunque proposta di nuovo sistema elettorale.
Le voci su un decreto legge che dovrebbe sbloccare i veti incrociati e permettere di andare alle urne quanto prima non sono finite. E hanno qualche ragione di esistere, perché non si vede ancora la ricaduta delle manovre in atto. Ma ricevono altolà autorevoli. Ieri il presidente del Senato, Piero Grasso, ha detto che un decreto sarebbe una soluzione «da ultima spiaggia, a fine legislatura». E ha chiesto invece ai partiti e al Parlamento di «fare una legge costituzionale, dopo averne fatte due incostituzionali».
È un appello ruvido, da parte della seconda carica dello Stato, che continua a vedere il 2018 come traguardo necessario. Forse perché gli avversari di Renzi tentano di accreditare una tensione tra «Pd ministeriale» e «Pd del Nazareno». In sostanza, chi è al governo frena sul voto, mentre la nomenklatura del partito sarebbe più propensa a utilizzare i prossimi due mesi per azzardare la corsa alle urne. Al momento, tuttavia, questa dicotomia non emerge con chiarezza. Il segretario è uscito dalle primarie rafforzato e forse un po’ rassicurato. Ma tutti sanno che in autunno sarà necessaria una manovra correttiva pesante; e ci saranno le elezioni in Sicilia, che seguiranno le Comunali di giugno, con un Pd preoccupato dalle conseguenze di una nuova sconfitta.
L’«effetto primarie» avrebbe dato un po’ d’ossigeno ai dem, che sembrano risalire nei sondaggi rispetto al M5S. La domanda è quanto durerà. E quanto inciderà l’offensiva dei seguaci di Beppe Grillo, che non trattano sulla riforma elettorale; e però accusano «il sistema» di puntare a una legge «per impedirci di governare. Vogliono la palude per inciuciare e magari chiedere a Mario Draghi (presidente della Bce, ndr) di fare il premier». Sono richiami usati per evocare complotti tecnocratici: anche se, in parallelo, il M5S prova a mostrare all’estero un volto più presentabile.