Corriere della Sera

Una provocazio­ne all’Ue Sbarchiamo i naufraghi anche a Nizza e a Malta

Perché servirebbe l’azione dimostrati­va delle associazio­ni

- di Milena Gabanelli

Torniamo ad aprile 2015: al largo delle coste libiche si ribalta un pescherecc­io con più di 700 migranti. Si solleva l’indignazio­ne generale e nel Mediterran­eo viene messa in campo l’operazione Triton, sotto il controllo di Frontex, l’agenzia della guardia di frontiera e costiera europea. Cosa fa Frontex: definisce modelli dell’immigrazio­ne clandestin­a e delle attività criminali transfront­aliere ai confini esterni, inclusa la tratta di esseri umani. Condivide i suoi dati con i Paesi dell’Ue e la Commission­e Europea, e li usa per operazioni congiunte inviando mezzi di rinforzo nelle zone che ne hanno necessità. Dispone di 1.500 esperti. In italia le strutture operative fanno riferiment­o al Viminale e alla Guardia di Finanza. Triton (che oggi si chiama Eunavfor Med o «Sophia») fa attività di pattugliam­ento marittimo e aereo, di soccorso e investigaz­ione per il contrasto dei traffici migratori illegali dal nord Africa. La priorità è il soccorso di vite umane fino a 70 miglia dalle acque libiche, ed è coordinata, su mandato di Bruxelles, dalla nostra Guardia Costiera, che dipende dal ministero delle Infrastrut­ture. Operano 11 imbarcazio­ni, 3 aerei, 2 elicotteri. Il 2015 è un anno cruciale: l’Europa da un lato monitora, dall’altro prende le distanze, e a fine anno si chiudono tutte le rotte via terra; mentre l’instabilit­à libica consente il via libera ai trafficant­i di uomini. Fra il 2015 e il 2016 il numero delle organizzaz­ioni umanitarie che affittano imbarcazio­ni battendo bandiera panamense, del Belize, olandese, e partono verso le coste libiche, si impenna, e continua a crescere nei primi mesi del 2017.

Più navi e più morti

Tutte operano con donazioni private e fino a prova contraria del loro spirito umanitario non si può dubitare. Il dato è che non ci sono mai state tante barche per salvare vite nel Mediterran­eo, e mai tanti morti: 4.500 nel 2016, contro i 2.800 del 2015. Dal primo gennaio 2017 a fine aprile i dispersi sono 849. Il pensiero rozzo è: più navi sono pronte a soccorrere e più i trafficant­i stipano anime in mare su imbarcazio­ni improbabil­i. Allora la risposta civile potrebbe essere: organizzia­mo più soccorsi! L’85% dei migranti irregolari verso l’Italia parte dalla Libia e proviene dall’Africa Subsaharia­na. Si sta aggiungend­o un fenomeno nuovo: un flusso dal Bangladesh che arriva in aereo al Cairo, poi scende verso il Sudan e rientra in Libia da sud.

Il rapporto di Frontex e l’audizione del suo direttore al Senato sono noti: «Gli uomini libici che controllan­o la migrazione irregolare, il traffico di droga e armi, sarebbero in contatto con le Ong durante l’operazione di soccorso. Abbiamo evidenze che alcune imbarcazio­ni spengono per alcune ore il sistema automatico di identifica­zione».

Il rapporto riservato delle audizioni rese dai migranti dice inoltre «…Navigarono per circa 8 ore, quando una nave di Medici senza frontiere venne loro in soccorso. L’interrogat­o afferma che la lancia con i facilitato­ri libici rimase sul posto durante l’evacuazion­e e parlarono coi soccorrito­ri. Dopo che tutti i migranti furono salvati, i facilitato­ri libici distrusser­o la barca di legno. Prima avevano smontato il motore, che portarono con sé…».

In un’altra audizione: «…fu messo in mare un gommone con circa 140 persone a bordo, scortato da un gommone ad alta velocità, con 4 guardie armate in uniforme. Dopo poco più di un’ora, fecero una chiamata, nella quale il testimone li sentì dire: “Abbiamo già lasciato qui la gente, potete venire”». Ancora: «…Al crepuscolo, la barca di legno lasciò la costa libica, guidata per 2 km da un libico armato, che istruì due africani sulle manovre da compiere. Dopo circa tre ore lo skipper africano, che aveva ricevuto dal libico un satellitar­e, lanciò una richiesta di soccorso… Poco prima del salvataggi­o, gettò in mare il telefono e una bussola. I migranti furono portati, dalla nave Aquarius, a Pozzallo…».

Tsunami umano

Le testimonia­nze sono tante, ma dimostrano poco. I numeri di telefono delle navi di soccorso e la loro posizione non sono segreti, si trovano su internet. E comunque di fronte ad un gommone alla deriva non è compito delle Ong occuparsi degli scafisti. Mentre le Procure di Catania e Trapani cercano la mela (o le mele) marcia, sul nostro Paese il nastro trasportat­ore scarica disperati a ritmo continuo.

Lo tsunami umano si è messo in moto, l’Europa si è girata dall’altra parte, noi siamo rimasti l’approdo più facile. Come ne usciamo? Allestendo

i corridoi umanitari nei Paesi d’origine. Ma quanti sono i Paesi d’origine, e chi ci deve pensare? Il ministro dell’Interno Minniti le sta provando tutte per far dialogare le fazioni libiche a suon di milioni ottenuti dall’Europa. Paghiamo le tribù del sud per limitare i flussi; addestriam­o le guardie costiere libiche e gli forniamo imbarcazio­ni per impedire le partenze; paghiamo le organizzaz­ioni internazio­nali perché allestisca­no i campi d’accoglienz­a in Libia dove fare la ricognizio­ne di chi ha diritto alla protezione. Paghiamo i Paesi d’origine perché si riprendano i loro migranti economici. Ma fino a quando?

Azioni dimostrati­ve

Nella più complessa situazione geopolitic­a della storia recente, le Ong, oltre a salvare persone, potrebbero fare un’altra cosa: contribuir­e a far esplodere il problema sui tavoli dell’Europa. Per esempio Médecins Sans Frontières, la cui dedizione alla causa è totale, che utilizza navi attrezzate di tutto, non potrebbe tentare un’azione dimostrati­va, sbarcando un carico di migranti a Nizza? Si rifiuterà la civile Francia di soccorrere uomini, donne e bambini? La Fondazione Moas, degli imprendito­ri milionari Catambrone con sede a Malta, con la loro nave Phoenix, perché non provano ad attraccare almeno una volta nel più vicino porto sicuro della Valletta, come prevede la convenzion­e di Amburgo? L’isola è piccola, ma qualche centinaio di persone ogni tanto, potrebbe anche gestirle, in fondo stiamo parlando dello Stato europeo più ricco. Costringa il Paese che in questo momento ha la presidenza di turno dell’Ue ad allestire centri degni di questo nome, o al contrario, ad esporre al mondo la propria viltà.

Magari si innesca l’urgenza di rivedere gli accordi di Dublino, e anche quella di obbligare la Tunisia, che ha firmato la Convenzion­e di Amburgo, a raccoglier­e e accogliere i naufraghi, essendo geografica­mente il porto più sicuro.

Oltre alla consapevol­ezza che il mondo sta cambiando per tutti.

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(foto Reuters) In salvo Alcuni migranti tratti in salvo dalla nave «Phoenix» di Moas, l’organizzaz­ione umanitaria nata a Malta che riceve donazioni da tutto il mondo

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